Benvenuti e benvenute nella rubrica #MeeTheSpeaker, l’occasione giusta per conoscere meglio le professioniste parteciperanno a WomenX Impact il 18-19-20 Novembre 2021 al FICO Eataly Bologna e online.

Le protagoniste dell’intervista di oggi sono:

Quattro donne eccezionali che animeranno il panel di discussione “Data justice: i dati di genere per un mondo più giusto” e presenteranno il loro progetto: il Period Think Tank.

Ogni membro della squadra di Period Think Tank viene da background diversi: in che modo i dati e soprattutto l’attivismo attraverso i dati sono entrati nelle vostre vite?

Giulia Sudano: Ho cominciato a sviluppare la consapevolezza dell’importanza dei dati per il mio attivismo femminista a partire da un Open Data Day organizzato a Bologna nel 2018 su Dati & Donne. Quell’esperienza mi aprì nuovi orizzonti rispetto al rapporto fra dati, partecipazione civica, gestione delle politiche pubbliche e una lettura femminista sulla scarsità dei dati di genere.
La svolta determinante, che ha reso i dati uno strumento essenziale del mio attivismo, è stata l’esplosione dell’emergenza Covid-19. Sin dall’inizio, a marzo 2020, ho iniziato subito a rendere i dati un perno essenziale delle mie azioni politiche per combattere le discriminazioni di genere nel nostro paese, avviando una raccolta dati nazionale sugli effetti della pandemia con uno sguardo di genere e successivamente dando vita a Period Think Tank.

Isabella Borrelli: Occupandomi di strategia digitale sono abituata alla presenza dei dati come indicatore di misura del mio lavoro, sono in qualche modo il meridiano che soppesa e quantifica l’impatto di decisioni spesso apparentemente banali. Penso che sia stato il vero elemento che ha rivoluzionato il mio lavoro: la possibilità di misurarlo. I dati sono per me un compagno di viaggio molto saggio, un abile suggeritore anche se talvolta un bel po’ scomodo.

Valentina Bazzarin: Sono una geek, una ricercatrice e un’attivista dei dati dalla fondazione di Spaghetti Open Data, la prima e comunità italiana sugli Open Data, fondata a Bologna nel 2010. In realtà avevo già sperimentato le opportunità della cultura delle risorse aperte un anno prima, nel 2009, grazie ad un progetto di ricerca visionario che si occupava di comunicazione sanitaria basata sui dati per la riduzione delle disuguaglianze. Questo progetto mi ha portata negli Stati Uniti per 2 anni, durante i quali ho osservato, ho studiato e ho partecipato alle prime esperienze di governo aperto e alla costruzione di processi decisionali basati sui dati in ambito sanitario. Tornata in Italia ho contribuito all’organizzazione di diversi Open Data Day e alla diffusione della cultura dei Diritti Digitali, anche attraverso programmi radiofonici. Inoltre ho collaborato alla fondazione e alle attività di comunità e associazioni informali, come il nodo italiano di Open Education. Oggi lavoro in questo settore come libera professionista e ricercatrice indipendente. Sono consulente per varie associazioni e ONG, enti pubblici e soggetti privati sul tema dell’etica dei dati. Dal 2018 mi occupo in particolare di discriminazioni algoritmiche e di soluzioni per colmare il gender data gap. Sono docente di Business Intelligence in corsi professionali rivolti a donne occupate e disoccupate e finanziati dal Fondo Sociale Europeo.

Stefania Minghini Azzarello: La Data Justice è entrato nella mia vita quando mi sono occupata nei primi anni 2000 di mappare gli ospedali fiorentini dove si praticava l’obiezione di coscienza per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza. Attraverso delle interviste sia ad amiche e conoscenti, sia alle ginecologhe che lavorano nei consultori e ospedali pubblici, ho partecipato a realizzare una mappatura e una guida per suggerire a quali ospedali e consultori rivolgersi per non incorrere in medici obiettori e in servizi che vogliono inculcare il senso di colpa alle donne per le loro scelte di autodeterminazione.

Che cosa vi ha spinto a creare insieme il Period Think Tank e quali sono stati i suoi primi passi? Di che cosa si occupa ognuna di voi all’interno del progetto?

GS: Period Think Tank è nato alla fine del 2020 dall’urgenza che condividevamo, come gruppo di attiviste in diversi ambiti, per contribuire da subito in modo innovativo ed efficace affinché la storica portata dei fondi del Recovery Plan fossero utilizzati in modo adeguato per ridurre le disuguaglianze sociali, in particolare quelle legate alla dimensione di genere. Nel medio-lungo periodo, consapevoli della forte carenza di dati e di indicatori di genere in molti settori, volevamo impegnarci concretamente per promuovere in Italia l’equità di genere attraverso i dati, contribuendo così a colmare il divario dei dati di genere italiano (gender data gap) rispetto alla media dei paesi europei. All’interno dell’associazione, in quanto presidente, mi occupo di diversi aspetti, in particolare curo le relazioni pubbliche, la progettazione e lo sviluppo dell’organizzazione.

IB: L’idea era quella di riunire le diverse esperienze di attivismo e le diverse competenze in un contenitore che prescindesse dalla singola persona e operasse come un ecosistema. Io mi occupo ad esempio dell’advocacy e delle pubbliche relazioni.

VB: Il mio interesse nel monitoraggio e nella prevenzione delle discriminazioni algoritmiche e la ricerca di soluzioni per il gender data gap mi ha portata a frequentare associazioni femministe in Italia e in Spagna. L’interesse per il mondo dei dati era già presente nei movimenti femministi intersezionali, ma spesso mancano alcune delle conoscenze e delle competenze che per me sono, da sempre, tema di ricerca e strumenti per l’attività professionale. Abbiamo costruito Period proprio per facilitare l’incontro tra esperienze di attivismo in ambiti tradizionalmente separati. Il mio ruolo nell’associazione consiste nel coordinare l’attività di ricerca e la gestione dei dati.

SMA: Period think Tank nasce per unire il mondo delle attiviste che si occupano di diritti delle donne, equità di genere e i femminismi con il mondo degli Open data. Ambiti spesso molto distanti, ma che il nostro Think Tank vuol far interagire e connettere. La forza di Period è che ognuna porta le proprie competenze, expertise e desideri per fare crescere l’associazione e le progettualità. Io mi occupo di comunicazione come professionista, ma quello che mi piace di più come attivista è il community organizer, ossia attivare processi di empowerment attraverso metodologie partecipative.

“Data justice” è una parola che si sente spesso, ma che può essere difficile da definire con precisione. Che cosa significa, per ognuna di voi?

GS: Data Justice è una questione e un approccio che non credo sia ancora così diffuso quanto dovrebbe nel dibattito pubblico italiano, se non in ristrettissime nicchie. Si riferisce alla necessità, in un mondo sempre più dominato dalla produzione, dall’estrazione e dall’uso commerciale di dati personali, di combattere le discriminazioni basate sugli utilizzi pregiudizievoli delle enormi moli di dati raccolti (big data) e più in generale di chiedere una gestione politica di questi processi, basata sulla giustizia sociale e sulla tutela dei diritti della persona. L’assenza quasi totale di un dibattito politico sulla governance di questi processi credo rappresenti una delle principali sfide che dovremo affrontare come attiviste. Nel vuoto legislativo lasciato dalle istituzioni in questi anni, sono state le grandi multinazionali a decidere indisturbate come gestire i dati sulle nostre vite e non dovrebbe più accadere.

IB: Da appassionata di fantascienza sono cresciuta con questo mito della tecnologia come qualcosa di migliore rispetto a noi, come qualcosa di infallibile. Al contempo la letteratura fantascientifica suggeriva anche la tecnologia come qualcosa in qualche modo separato, con una propria visione sul mondo. Nella realtà la tecnologia è un nostro prodotto, costruito a nostra immagine e somiglianza: anche dei nostri pregiudizi, dei nostri bias, del nostro modo di concepire i rapporti da esseri umani. Sarebbe bello invece creare della tecnologia che sia davvero migliore di noi.

VB: Come detto prima mi occupo di etica dei dati e di discriminazioni algoritmiche. Per me la Data Justice è lo sforzo urgente e necessario a garantire, come obiettivo minimo, che i dati siano raccolti e utilizzati in modo da non minacciare la dignità delle persone. Una volta raggiunto questo risultato però mi auguro che gli obiettivi possano diventare più ambiziosi e che, per esempio, i dati e le risorse aperte possano diventare strumento per un mondo più equo e più giusto, capace di valorizzare le diversità e diretto verso forme di progresso tecnologico e sociale rispettosi delle persone e dell’ambiente. 

SMA: Data Justice per me significa evidenziare le relazioni di potere all’interno della società attraverso i dati quantitativi e qualitativi. Perché le donne hanno il 75 % di probabilità in più di soffrire per gli effetti collaterali di un medicinale? E il 17% di morire in un incidente stradale? Perché la nostra società è stata strutturata da uomini e per gli uomini. Come possiamo cambiare? La Data Justice è una pratica, una metodologia che può aiutarci a costruire una società più equa e più giusta.

Il vostro panel “Data justice: i dati di genere per un mondo più giusto” avrà un focus particolare: l’impatto della pandemia sulla vita delle donne in Italia e l’importanza dei dati di genere. Ci potete dare qualche anticipazione in più?

IB: Le crisi hanno la conseguenza di amplificare le sperequazioni e le disuguaglianze. Allo stesso modo la pandemia da Covid-Sars ha reso più evidente la disparità di genere e i problemi – per esempio quello occupazionale, o quello legato al welfare – inerenti al genere femminile e non binario. Il conteggio della pandemia come fenomeno massivo ha portato a un’attenzione mai vista prima nei confronti dei dati e il dibattito si è espanso anche ad altri tipi di dati, come ad esempio quello occupazionale iniziando ad analizzarli anche in ottica di genere. I dati hanno confermato diverse tesi femministe, ma hanno anche – come sempre – riservato delle inattese evidenze andando a indicare possibili politiche di genere.

VB: Tra i settori in cui la mancanza di dati di genere ha generato maggiori problemi durante la pandemia ci sono proprio quelli sociale e sanitario. La mancanza di dati disaggregati per genere o per sesso per esempio non ha permesso di misurare gli effetti della pandemia o l’efficacia degli strumenti di prevenzione e di cura (come protocolli e farmaci). Questa lacuna deve essere colmata il prima possibile e soprattutto deve essere colmata prima dell’arrivo dei fondi per la ripartenza per valutare l’impatto degli investimenti che verranno fatti attraverso il PNRR. Per questo abbiamo lanciato la campagna #Datipercontare. La campagna nasce sulla scia dell’attività svolta dal dipartimento WOMEN delle Nazioni Unite che monitora il Gender Data Gap nel sito dedicato WOMEN COUNT

SMA: Con il nostro panel vogliamo condividere con altre donne le pratiche e le riflessioni che ci hanno portato insieme a lavorare con i dati di genere. La pandemia ha reso le donne più precarie e povere. Servono servizi, welfare e politiche più eque. Con Period vogliamo proporre alle istituzioni indicatori e dati aperti per analizzare, monitorare  e trovare  strategie per rendere il mondo a misura di tutte e tutti, nessuno escluso. 

GS: Il nostro panel intende far arrivare il messaggio che i dati hanno molto poco di tecnico e molto di politico dalla raccolta all’analisi e al loro utilizzo. Per questo motivo, è essenziale che ognuna di noi si impegni nel proprio ambito a dare supporto alla richiesta di avere dati aperti in quanto bene comune e nello specifico di avere dati disaggregati per genere e costruiti liberi da stereotipi. Nel nostro panel racconteremo come stiamo portando avanti questo grande obiettivo attraverso la nostra campagna #datipercontare. Se come noi avete voglia di provare a cambiare il mondo, non potete perdere “Data justice: i dati di genere per un mondo più giusto”.


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