Una nuova puntata della rubrica del blog WomenX Impact: Recensioni in Rosa, a cura di Alessandra Carminati che, come al solito, seleziona e recensisce per voi i migliori libri, film o serie TV in cui spicca una figura femminile.

Basato sull’omonimo romanzo di Margot Lee Shetterly, “Il diritto di contare” (in originale “Hidden Figures”) è un film del 2016 diretto da Theodore Melfi, una storia di coraggio e determinazione. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Melfi e da Allison Schroeder, si focalizza sulle carriere intrecciate di tre donne afroamericane realmente esistite: Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson.

 

Un periodo storico difficile

Il film è ambientato nel 1961, nel pieno della segregazione razziale. Katherine, Dorothy e Mary lavorano presso il Langley Research Center (NASA) di Hampton, in Virginia, affrontando molteplici difficoltà quotidiane. Se il loro ruolo e la loro importanza vengono oggigiorno riconosciuti apertamente (specialmente quello della Johnson che collaborò con la NASA per il tracciamento delle traiettorie per il Programma Mercury e, successivamente, per la missione dell’Apollo 11 e dell’Apollo 13), il film ci fa capire come gli inizi, per tutte e tre, non siano stati dei più facili.

Nei primi anni sessanta, infatti, sessismo e segregazione razziale erano più che mai parte integrante della vita quotidiana. Inoltre, come se non bastasse, le nostre tre protagoniste lottano strenuamente per dimostrare il loro valore in un periodo difficile non soltanto per loro, ma anche per l’agenzia spaziale, sottoposta a pressione estrema allo scopo di velocizzare il programma di invio di un astronauta in orbita (la competizione con i sovietici è altissima).

Tre storie, e tre carriere, intrecciate

Nel film la principale protagonista è Katherine G. Johnson, interpretata magistralmente da una carismatica Taraji P. Henson. Katherine è un prodigio della matematica che, in virtù delle sue capacità eccezionali, viene assegnata alla squadra che ha il compito di calcolare le coordinate di lancio e la traiettoria di un razzo Atlas. Come è facile intuire, trovandosi in un ambiente prettamente maschile, ed essendo non solo donna ma anche di colore, Katherine non riceve una bella accoglienza. Al contrario, si trova a dover affrontare continue umiliazioni: i colleghi si allontanano da lei non appena fa il minimo tentativo di avvicinarsi, se desidera prendere un caffè le fanno trovare caffettiere apposite (sia mai che utilizzi quelle destinate ai bianchi!), il bagno che le è permesso adoperare è collocato in un edificio a quasi un chilometro di distanza dall’ufficio… Insomma, pur cercando di mantenere la sua dignità e, soprattutto, di svolgere al meglio il proprio lavoro, Katherine deve far fronte a una serie di pregiudizi che non solo non facilitano la comunicazione all’interno del suo team, ma che la portano a essere trattata con sufficienza e poco rispetto.

Se Katherine fatica a farsi strada, il film ci mostra come anche le sue amiche Dorothy (interpretata da Octavia Spencer) e Mary (interpretata da Janelle Monáe) non se la passino meglio. Dorothy, nonostante le sue capacità e il suo essere brillante, non riesce a ottenere la tanto agognata promozione mentre Mary, che vorrebbe proseguire la sua istruzione iscrivendosi a corsi di livello universitario, non può farlo in quanto, secondo le leggi vigenti all’epoca, questi sono destinati esclusivamente ai bianchi.

La posta in gioco

Inutile dire che nessuna di queste tre donne si perde d’animo. Ognuna è consapevole della posta in gioco, non solo a livello di carriera personale, ma, in un’ottica più ampia, sanno che un loro eventuale successo potrebbe essere di esempio per altre donne e fornire uno stimolo a superare barriere razziali e non. Per questo, a dispetto delle piccole e grandi difficoltà in cui si trovano, non smettono di combattere per raggiungere un equilibrio, per realizzare i loro sogni e, soprattutto, per dimostrare il loro talento.

Katherine

Così, piano piano, Katherine si guadagna il rispetto dei suoi colleghi (salvo qualche eccezione) e, grazie alla sua abilità nel risolvere anche le equazioni più complesse, arriva a impressionare anche il suo capo Al Harrison (un Kevin Costner in grande spolvero). In una scena particolarmente d’effetto, vediamo il personaggio di Kevin Costner che, scoperta la ragione delle lunghe assenze di Katherine, costretta ogni volta a percorrere un chilometro per raggiungere il bagno a lei riservato e un altro per rientrare in ufficio, rimuove con una certa violenza il cartello che le vietava l’uso di quello assegnato ai bianchi, mostrandosi decisamente più interessato al buon esito della missione spaziale che alle leggi segregazioniste. I fatti gli daranno ragione, dato che Katherine, grazie ai suoi calcoli per i rientri delle capsule spaziali, si mostrerà fondamentale per la missione, e la sua importanza all’interno del programma verrà finalmente riconosciuta.

Dorothy e Mary 

Anche Dorothy, una volta compreso che l’arrivo dei nuovi calcolatori automatici avrebbe portato al licenziamento di molte delle donne adibite ai calcoli, decide di non farsi trovare impreparata e studia un modo per rendersi indispensabile. Si informa sulla programmazione di questi computer mastodontici, sottrae un libro alla biblioteca, azione necessaria visto che il locale era riservato ai bianchi, studia e fa pratica quasi di nascosto. Arriva a essere talmente brava e capace da poter addestrare altre donne della sua unità sui processi di programmazione, ottenendo così non solo l’ambita promozione personale, ma anche un successo importante per le sue sottoposte.

Mary, dal canto suo, non ha nessuna intenzione di rinunciare al sogno di diventare ingegnere, ottiene quindi da un giudice il permesso per assistere alle lezioni serali di un liceo frequentato esclusivamente da uomini bianchi. Così facendo, le sarà possibile ottenere l’agognata specializzazione.

Un film in grado di coinvolgere ed emozionare

Il diritto di contare” è uno di quei film adatto a tutti, coinvolge e appassiona al tempo stesso. Difficile non amare la storia di tre donne forti che hanno saputo sostenersi a vicenda, combattendo contro diseguaglianze di genere e razza in un periodo storico altamente sfavorevole.

Il ritratto che ne viene fatto esalta i loro caratteri diversi, mostrandone nello stesso tempo i punti in comune. Katherine, Dorothy e Mary sono tre donne geniali e determinate, condividono da una parte la voglia di realizzare le proprie ambizioni, dall’altra il desiderio di condurre una vita normale che le porti non necessariamente sotto i riflettori, ma che permetta loro di essere accettate da una società che le vorrebbe invece escludere.

La narrazione ci permette di seguirle mentre tentano di bilanciare carriera e vita privata, restando sempre fedeli a sé stesse, senza farsi scoraggiare dalle difficoltà che affrontano, sia per il fatto di essere donne che per il colore della loro pelle.

Accenni al difficile momento storico ci sono, anche se non particolarmente approfonditi, è evidente che il periodo non sia dei più facili ma, più che su quello che accade all’esterno, il film punta ad analizzare l’interno e lo fa incentrandosi sulle vite delle tre protagoniste e sulle loro battaglie personali.

Alcune scene risultano un pochino prevedibili, ma nulla tolgono a una narrazione scorrevole, piacevole, che celebra un bell’esempio di solidarietà femminile e di lotta per l’emancipazione. Un esempio che è anche una bella lezione.

Apprezzabile infine anche il titolo italiano dato alla pellicola, che riesce a mantenere il doppio senso voluto da quello originale.

Katherine, Dorothy e Mary hanno dimostrato il loro diritto di contare, inteso non solo come diritto di “fare i conti” e calcolare traiettorie complesse, ma anche e soprattutto come diritto di assumere importanza nell’ambiente lavorativo e non. Il titolo inglese “Hidden Figures” rimanda in modo analogo da una parte ai calcoli complessi utilizzati nei programmi spaziali, e dall’altra al fatto che queste donne, veri e propri calcolatori umani predecessori dei computer, erano a quei tempi costrette a lavorare in un’area separata, “nascosta”, e a quanto la loro lotta per emergere e ottenere il giusto riconoscimento sia stata un cammino in salita.

 

Alessandra Carminati


0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *