Un esordio letterario attesissimo protagonista della nuova puntata della rubrica Recensioni in Rosa, a cura di Alessandra Carminati che, come di consueto, seleziona e recensisce per voi i migliori libri, film o serie TV in cui spicca una figura femminile.
“Lezioni di chimica”, esordio letterario di Bonnie Garmus, nel 2020 è riuscito a scatenare un’asta furiosa sul mercato internazionale, dove è stato conteso in una “lotta all’ultimo sangue” tra diverse case editrici.
Attualmente in corso di pubblicazione in 34 Paesi, in Italia il romanzo è edito da Rizzoli e, alla sua prima apparizione nelle librerie italiane a maggio 2022, l’attesa nei suoi confronti era altissima, proprio grazie alla fama notevole che lo precedeva.
Impossibile, quindi, non volersi subito immergere nella lettura di questo preannunciato “caso letterario”, e la curiosità e le aspettative aumentano se si pensa che il romanzo è già stato opzionato per essere adattato e trasposto in una serie televisiva targata Apple, che verrà prodotta e interpretata da un’attrice del calibro di Brie Larson.
Una donna fuori dagli schemi
Ci si immerge fin da subito nella lettura, si cerca fin dalle prime pagine di capire cosa renda particolare questo romanzo, come sia riuscito a conquistare editori e lettori alla velocità della luce.
La trama è indubbiamente avvincente, il ritmo narrativo ben calibrato, soprattutto grazie all’alternanza di momenti commoventi, persino tragici, ad altri più leggeri, piccoli siparietti talvolta comici.
La lettura è scorrevole, coinvolgente, si ride e si piange, non si riesce a rimanere insensibili alle avventure e disavventure della sua protagonista: Elizabeth Zott.
Ed è nella costruzione del suo personaggio principale che la Garmus fa centro, l’autrice è riuscita a creare un’eroina perfetta nelle sue imperfezioni e contraddizioni. Elizabeth è bella ma non si cura delle apparenze, intelligente ma spesso incapace di accettare i limiti altrui, parla senza peli sulla lingua, è testarda, coraggiosa e fatica ad adattarsi alla società che la circonda, tanto più che non ne accetta le regole e le imposizioni.
Sì, perché Elizabeth, così moderna e in lotta con le convenzioni, non si trova ad avere a che fare con la società moderna, ma con quella americana degli anni ’50-’60. Una donna come lei lotterebbe sicuramente anche ai giorni nostri ma, per l’epoca, è decisamente un personaggio fuori dal comune.
Un ambiente ostile
La vicenda si svolge in California, inizia negli anni ’50 e arriva fino ai primi anni ’60, un periodo storico in cui non si può dire che femminismo ed emancipazione femminile fossero diffusi. Basta anche solo dare un’occhiata a vecchie pubblicità di quegli anni per rendersi conto di come la figura femminile venisse relegata in contesti ben precisi, legati generalmente all’ambito “casa e famiglia”. Le donne, nell’immaginario di quegli anni, si occupano del focolare domestico, dei figli, dei mariti che lavorano.
Per questo Elizabeth Zott risulta subito fuori dagli schemi, poco convenzionale: non è una casalinga e, particolare ancora più eclatante, non rinuncia a perseguire i propri sogni di successo professionale. Elizabeth infatti è una scienziata anzi, per l’esattezza, è una chimica, solo che essere una donna di scienza negli anni ’50 è tutto fuorché facile.
Per quanto Elizabeth sia eccezionalmente brava, per quanto i suoi studi ottengano più risultati di quelli dei suoi colleghi, la donna si trova a lavorare in un ambiente prettamente maschile che non riconosce i suoi meriti e non la valorizza.
Scopriamo praticamente subito come mai non abbia potuto accedere al dottorato (e la motivazione ci lascia a dir poco di stucco per la sua gravità) eppure, anche se “soltanto” laureata, Elizabeth Zott è cento volte più in gamba dei suoi colleghi maschi che richiedono il suo parere ogni volta che si trovano bloccati nelle loro ricerche.
L’ambiente scientifico, insomma, non le è amico tanto più che, secondo i suoi colleghi dell’Hastings Research Institute, una bella donna come lei non dovrebbe stare dietro a provette ed esperimenti, il suo ruolo è a casa.
Salite e discese
Le cose iniziano a cambiare quando Elizabeth conosce Calvin Evans, anche lui scienziato, giovane, geniale e stimatissimo, candidato persino al Nobel.
I due si innamorano, sono due anime gemelle, Calvin è il primo uomo che la apprezza e la prende sul serio.
L’atteggiamento di Calvin porta Elizabeth a una nuova consapevolezza, la spinge a chiedersi come sarebbe il mondo se tutti gli uomini prendessero sul serio le donne; probabilmente, riflette la scienziata, un rispetto maggiore porterebbe l’intero sistema educativo a cambiare, rivoluzionando persino il mondo del lavoro.
Pensieri simili, anche se messi in testa a un personaggio che vive negli anni ’50, risultano applicabili anche alla società odierna.
Elizabeth Zott conquista proprio per questo, per la sua modernità.
L’idillio con Calvin, però, ha breve durata, l’uomo resta vittima di un incidente ed Elizabeth si ritrova ad affrontare una serie di difficoltà notevoli: perde il lavoro, affronta una gravidanza inaspettata e deve ben presto fare i conti con le fatiche che la condizione di essere una madre single comporta. Soltanto Seiemezza, un cane provvisto di un’intelligenza davvero brillante, e la sua vicina di casa, una donna che cerca di recuperare un po’ di autostima, le saranno di aiuto nel crescere e occuparsi della sua bambina, la piccola e dotatissima Mad.
La vita è davvero complicata per Elizabeth che però non si arrende, si ingegna per costruire un suo laboratorio personale in casa e cerca di continuare a fare, tra mille complessità, quello che le riesce meglio: la scienziata.
Verrà richiamata a fare ricerche dal suo vecchio superiore ma l’ennesima delusione la lascerà di nuovo a terra fino a che, per un caso fortuito, si ritroverà a condurre un programma televisivo, “Cena alle Sei”, diventando suo malgrado una star.
Quello che infatti dovrebbe essere un semplice programma di cucina, che insegni alle donne d’America come preparare piatti sani e nutrienti, viene trasformato da Elizabeth in qualcosa di più: l’occasione di trasmettere alle donne che la seguono consapevolezza e coraggio.
Elizabeth non accetta di presentarsi in televisione in abitini stretti e ammiccanti al punto giusto, non vuole neanche un set che riproponga una cucina leziosa e piena di orpelli inutili.
No, lei si presenta per quello che è: una scienziata. Gli abiti devono essere comodi, i suoi possibilmente, sì a un bel camice e a un ambiente dove possa cucinare sfruttando al meglio gli spazi a disposizione.
Per Elizabeth “la cucina è chimica e la chimica è vita”, ai fornelli non si scherza. Davanti alle telecamere si rifiuta di essere diversa da quella che è, parla di atomi e molecole, usa il termine “cloruro di sodio” per riferirsi al sale, spiega in modo chiaro le regole che governano il mondo. Insomma, Elizabeth vuole che le donne si impadroniscano di quei concetti a lei tanto cari perché sa che sono in grado di comprenderli, devono soltanto crederci, uscire dai confini in cui troppo spesso vengono relegate, avere il coraggio di cambiare. Provare, tentare, esserci per non rimanere atrofizzate, per non morire prima del tempo.
Tra alti e bassi, successi e fallimenti, incomprensioni e colpi di scena Elizabeth si farà strada nel cuore delle sue telespettatrici.
Non sarà sempre facile, oltre al programma Elizabeth deve occuparsi della sua figlioletta Mad che, esattamente come la madre, si mostra subito autonoma, indipendente e molto più intelligente della sua età e, proprio per questo, viene fin da subito giudicata negativamente, persino dalla sua maestra.
La nostra eroina attraverserà momenti di depressione e di sconforto ma qualche sorpresa positiva arriverà da scoperte legate al passato, da amicizie insospettate e, soprattutto, dall’avere sempre ben chiaro in mente il proprio obiettivo: perseguire il sogno di tornare a fare ricerca.
Elizabeth alla fine ci riuscirà, lascerà la televisione e, grazie anche a un colpo di scena davvero ben congegnato, tornerà all’Hastings Research Institute, finalmente libera di portare avanti le sue ricerche.
Le parole con cui si accomiata dal suo pubblico televisivo, prima ancora di sapere se e come riuscirà a tornare a fare le sue ricerche, sono secondo il mio personalissimo parere, bellissime:
“Ogni volta che avete paura, ricordate: il coraggio è alla base del cambiamento e il cambiamento è ciò a cui siamo chimicamente destinati. Perciò, quando domattina vi alzerete, prendete questo impegno con voi stesse: basta trattenervi.”
“Non permettete che i vostri talenti restino in letargo, signore mie. Progettate e costruite il vostro futuro. Stasera, tornate a casa, chiedetevi che cosa cambierete. E poi mettetevi all’opera.”
Direi che non ci sia altro da aggiungere.
Una fama meritata
“Lezioni di chimica”, pur essendo un libro d’esordio, è scritto davvero bene e merita decisamente la fama che lo accompagna, leggendolo è facile capire perché sia stato così conteso dalle case editrici.
Una protagonista dalla personalità magnetica, un’ambientazione lontana nel tempo ma che punta il dito su dinamiche che sono purtroppo ancora attuali, personaggi secondari ben caratterizzati (tra questi abbiamo persino il cane antropomorfo), un percorso di cadute e risalite che ci porta a fare il tifo per la nostra eroina e a provare risentimento per quei personaggi insulsi che le mettono i bastoni tra le ruote… Insomma, una serie di ingredienti sapientemente dosati per comporre un piatto oltremodo gustoso (e sì, la metafora culinaria è voluta).
In alcuni momenti forse il carattere di Elizabeth risulta un tantino estremizzato, appare poco empatico, il suo mostrarsi irremovibile nel non voler scendere neppure al minino compromesso (chiamare ad esempio il sale semplicemente sale) a volte appare un tantino esagerato, come se si rifiutasse a prescindere di prendere in considerazione opinioni che si distacchino dalla sua.
Affronta tutto e tutti con una logica stringente, implacabile, che spesso si traduce in dialoghi che sembrano siparietti comici, dove i suoi interlocutori cedono perché incapaci di portarla dalla loro parte.
Eppure, a pensarci bene, Elizabeth non potrebbe essere costruita altrimenti, la sua personalità unica portata a convivere con la mentalità degli anni ’50-’60 per forza di cose deve creare un effetto stridente. Inoltre quello che veniamo a sapere del suo passato giustifica il suo non voler scendere a compromessi, la sua necessità di guardare in faccia la realtà per quello che è, di rimanere coerente con sé stessa, anche a costo di non piacere.
Il finale poi, con i vari pezzi del mosaico che si ricompongono, si chiude con una nota di speranza: Elizabeth ha affrontato le sue battaglie e, come l’eroina di una fiaba, può assaporare un suo lieto fine. Il merito va soprattutto a lei e ai suoi sforzi ma, in parte, va anche al sostegno di coloro che non hanno mai smesso di credere in lei, quei personaggi buoni che nelle favole si definiscono “aiutanti” (e di cui, in fondo, ogni eroe o eroina che si rispetti ha bisogno) e, ovviamente, allo zampino di una buona fata madrina.
Alessandra Carminati
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