In Donne Libere in carriHERe, Virginia Montaruli racconta il mondo del lavoro attraverso gli occhi delle donne, esplorando opportunità e sfide per costruire carriere senza confini.
Un viaggio verso equità, crescita e libertà professionale.
Perché il futuro del lavoro non è solo flessibile, è anche libero.
La parola libertà ha un suono potente.
Potente perché è una parola che si colloca in contesti diversissimi: si parla di libertà di parola, di libertà di scelta, di libertà sessuale, libertà economica, libertà di movimento.
Ed è proprio questa sua trasversalità a renderla così complessa e così personale.
Per ognuno di noi, la libertà ha un significato diverso.
Che cosa significa sentirsi liberi? Una domanda che molte persone si pongono, senza trovare una risposta definitiva. Eppure, a volte, la sensazione di essere sulla strada giusta è chiara.
Nel cercare una risposta, può essere utile chiedersi: quando ci si è sentiti davvero liberi?
Per molte persone, la risposta arriva senza esitazioni: quando hanno imparato a gestire il proprio tempo, il proprio lavoro, le relazioni e in generale la propria vita.
Oggi, sempre più spesso, si parla anche di libertà professionale come necessità quotidiana, soprattutto per chi cerca equilibrio tra lavoro e vita privata. E questo cambiamento, per molti, coincide con l’adozione del lavoro full remote.
Ma per capire davvero di cosa si tratta, è importante fare chiarezza.
Perché parliamo di libertà?
Questo spazio nasce con l’obiettivo di esplorare cosa significa oggi lavorare in modo libero, soprattutto per le donne, in un contesto dove “libertà” e “donne” sono ancora due parole che insieme possono incontrare resistenze.
Intendiamo esplorare il concetto di libertà professionale, analizzando come il full remote possa diventare uno strumento di emancipazione e autodeterminazione. Attraverso esperienze personali, riflessioni e spunti pratici, la rubrica mira a stimolare il dibattito su come il contesto lavorativo, spesso caratterizzato da retaggi aziendali machisti e strutture rigide, possa evolversi per garantire maggiore equità.
Non si tratta di una battaglia di genere, ma di una ricerca di equilibrio, consapevolezza e opportunità.
Full Remote e Libertà: i primi passi per essere libere
Il lavoro occupa una parte significativa della vita quotidiana: almeno otto ore al giorno. È quindi inevitabile porsi una domanda: quanto ci si sente liberi mentre si lavora?
Parlare di libertà lavorativa significa parlare di gestione autonoma del tempo, di possibilità di definire le priorità e di trovare un equilibrio sostenibile tra vita personale e professionale.
Ed è proprio qui che entra in gioco il lavoro da remoto, spesso chiamato in Italia “smart working”.
Tuttavia, esiste ancora molta confusione terminologica.
Durante la pandemia, si è definito “smart working” quello che in realtà era telelavoro forzato. Ma lo smart working autentico è altro: è flessibilità, fiducia, responsabilità condivisa e, soprattutto, obiettivi chiari. Non si basa sul numero di ore lavorate, ma sui risultati.
Il vero smart working permette alle persone di scegliere come e quando lavorare al meglio, valorizzando le competenze. In questo senso, può già essere considerato una forma concreta di libertà.
Va però precisato che il lavoro full remote non equivale sempre allo smart working. In molti casi, si tratta di home working: lavoro svolto da casa, ma con orari fissi e limitata autonomia.
Pur non garantendo la flessibilità totale, rappresenta comunque un primo passo verso un modo di lavorare più libero, più consapevole, più sostenibile.
La scelta di porre l’attenzione sul full remote nasce dal fatto che, a oggi, è la forma di lavoro flessibile più diffusa tra i dipendenti. Non tutti possono – o vogliono – intraprendere percorsi da freelance o adottare modalità lavorative totalmente autonome. Il full remote è quindi ciò che accomuna un numero crescente di lavoratori e lavoratrici all’interno di contesti aziendali strutturati.
Libertà professionale e identità professionale femminile
C’è un ulteriore motivo, più profondo, per cui la libertà professionale è un tema centrale, soprattutto per le donne: ricoprono più ruoli allo stesso tempo. Chiariamo questo concetto.
Molte donne si trovano a interpretare ruoli diversi: professioniste, figlie, compagne, amiche, caregiver.
Siamo costantemente alla ricerca di quell’equilibrio tra ambizione personale e responsabilità relazionali, tra desiderio di realizzazione e presunte responsabilità sociali.
E allora sì, per le donne la libertà professionale non è solo un diritto astratto: è un desiderio (manifesto o latente) quotidiano. Può permettere e concedere di non dover scegliere sempre tra il lavoro e il resto della vita. È lo spazio per respirare, per creare, per trovare un proprio ritmo che non sia solo incastro, ma anche intenzione, direzione, determinazione e, appunto, libertà.
Il full remote, per molte esperienze dirette, restituisce tempo – tra le risorse più rare e preziose. Tempo per lavorare alla propria velocità, per delineare, concordare e rispettare le reali priorità senza gli “agguati alle scrivanie” figli del “è tutto urgente”. In una parola: senza soggezioni inutili.
Allo stesso tempo, nel mondo reale e attuale, non è così per tutte. Non tutte le aziende, non tutti i ruoli, non tutti i contesti permettono questo tipo di libertà. Dunque, è essenziale parlarne, condividerne il valore, aumentare gli scenari possibili, incoraggiare il confronto, aprire una riflessione, promuovere le azioni.
Le svariate esperienze dirette ci portano a una serie di riflessioni che conducono nella stessa direzione. Se si continua ad associare la produttività all’extra work, all’essere sempre presenti in ufficio e al farsi vedere fisicamente per essere considerati performanti, si sta alimentando un modello obsoleto e sbilanciato, che avvantaggia soprattutto gli uomini o quelle donne che partecipano indirettamente al vantaggio maschio.
Questo modello tradizionale premia chi può dedicare più ore al lavoro, una condizione che storicamente si è adattata meglio agli uomini, i quali, per lungo tempo, hanno avuto minori responsabilità familiari e domestiche. Al contrario, le donne si trovano a dover fare i conti con aspettative sociali che le vedono come principali responsabili della cura della casa e della famiglia. In parole povere, stiamo dicendo alle donne: “tu devi pensare alla casa, crescere i figli, fare carriera, lavorare tanto, guadagnare tanto e diventare anche astronauta” – ok, come può una donna riuscire in questo fantastico discorso?
Spieghiamo le perplessità provando a fare un ragionamento presumibilmente logico. Nel 1950, lavorava solo l’uomo, uno stipendio bastava, la donna stava a casa, si occupava dei figli, insomma aveva tempo per dedicarsi a quel ruolo anni 50′. Oggi, stiamo chiedendo alle donne, di prendere lo stesso quantitativo di tempo e aggiungere anche la carriera e la realizzazione professionale; da un lato è sacrosanto, dall’altro è necessario (perché quasi non bastano due stipendi per una famiglia), da un altro lato ancora, la resistenza e la conservazione di modelli anni 50′ (presenza in ufficio compresa) danneggia non solo le donne, ma anche gli uomini, i figli e un po’ tutta la società. Perché siamo così FERMI? Viene spontaneo chiedersi: chi ci guadagna?
Quando la produttività si misura esclusivamente con la presenza fisica e la quantità di ore lavorate, le donne rischiano di essere svantaggiate, soprattutto se non possono conciliare queste richieste con i loro impegni e responsabilità extra-lavorative. Perché non possiamo nemmeno proclamare a vittoriose solo le donne che scelgono la carriera alla famiglia e vice-versa, dobbiamo considerare anche coloro che nel 2025 vedono più di una modalità possibile per realizzare questo connubio, ma per qualche ragione viene ostacolato.
In questo contesto, lo smart working e il full-remote rappresentano un’opportunità per riequilibrare il gioco, permettendo alle donne di gestire il loro tempo in modo più flessibile e produttivo, senza dover rinunciare alla vita familiare o personale.
Una persona libera spesso intimorisce, e lo è ancora di più una donna libera. A livello sociale, la libertà femminile è molto più difficile da gestire e accettare rispetto a quella maschile. Il vero cambiamento avviene quando possiamo finalmente superare questo peso sociale e permettere a tutte le donne di essere veramente libere, non solo nel lavoro, ma in ogni aspetto della loro vita.
Voci sul tema della flessibilità
- Claudia Goldin, Premio Nobel per l’Economia 2023:
La flessibilità è uno degli strumenti principali per colmare il gender gap. Le donne non chiedono meno lavoro, ma un lavoro più compatibile con le loro scelte di vita.
(Fonte: Intervista su NPR e Harvard Gazette)
- Francesca Corrado, autrice e imprenditrice:
Il lavoro flessibile mi ha reso più libera e più forte. Il fallimento non mi spaventa, ma un sistema rigido sì.
(Dal libro “Il fallimento è rivoluzione”)
Conclusioni
Il lavoro full remote, così come lo smart-working, consente a molte persone di riappropriarsi del proprio tempo. È un’evoluzione organizzativa che implica un cambiamento socio-culturale.
C’è chi lo vive come una libertà, e chi come una prigione. Chi promuove l’autonomia, e chi la teme. Chi lo considera un’opportunità, e chi come un capriccio.
Il percorso verso un nuovo modo di lavorare è un viaggio. Un viaggio fatto di trasformazioni, scelte, contraddizioni. Un viaggio che riguarda tanto la sfera personale quanto quella professionale.
Questa rubrica nasce per raccontare realtà, esperienze e possibilità.
Per dare spazio a un punto di vista spesso trascurato: quello di chi non vuole scegliere tra carriera e vita, ma cerca un modo per farle convivere.
In questa rubrica, ogni storia conta.
Perché la libertà professionale non è un traguardo individuale, ma un vantaggio collettivo.
Noi qui promuoveremo sempre la libertà di scelta.