Benvenuti e benvenute nella rubrica #MeetTheSpeaker, l’occasione giusta per conoscere meglio le professioniste che saliranno sul palco di WomenXImpact il 18-19 e 20 Novembre 2021 al FICO Eataly Bologna e Online.

Ognuna di loro è una grande professionista e in ogni intervista approfondiremo il suo punto di vista su un’ampia varietà di temi che riguardano la loro expertise.

La speaker di oggi è Roberta Zantedeschi, formatrice, recruiter ed esperta in comunicazione. Con Roberta, abbiamo parlato di quali siano i pregi e difetti della realizzazione personale, di come trovare il tono di voce giusto quando si scrive e di come presentare il curriculum perfetto.

Tutte le interviste sono opera di un’altra Roberta, contributor per Wired, Linkiesta e Rivista Studio e fondatrice del progetto di divulgazione Flair.

Inizierei con una domanda un po’ “trabocchetto”: cosa volevi fare da grande, quando eri piccola? E quando sei uscita dall’università?

Volevo fare un sacco di cose! Per un periodo sognavo di diventare  trapezista, poi logopedista, e infine scrittrice o editor, pensavo che così avrei letto un sacco di libri. Al termine dell’università, mi sarebbe piaciuto diventare educatrice nelle comunità per portatori di disabilità. Dopo una lunga serie di candidature senza risposta, sono stata assunta da una società di recruiting e sono cresciuta in quel settore. Detto sinceramente, non era nei miei piani lavorare in quell’ambito, ma oggi ne sono felice.

Come nasce la tua passione per le risorse umane?

La mia passione per le risorse umane nasce, appunto, per puro caso: all’inizio, non sapevo neanche cosa fosse il recruiting. Ho però sempre avuto come obiettivo quello di lavorare a contatto con le persone e per le persone. Ho sempre visto una grande funzione sociale nel mio lavoro di recruiter: un contributo che potevo dare agli altri per migliorare la loro vita professionale. Lavorando mi sono innamorata anche del mondo del lavoro in sé ho capito come lavoro possa creare valore, bellezza, non solo per l’azienda che ti assume, ma anche a livello personale. In famiglia non mi avevano mai trasmesso questa visione del mondo, che ho imparato ad apprezzare a posteriori, grazie ai miei primi datori di lavoro. Credo in un lavoro che conduce all’autorealizzazione, anche se nasconde dei rischi: lavorare con passione infatti significa spesso non mettersi confini, e per molti e molte freelance, non farsi pagare abbastanza. La professionalità quindi risiede anche nella capacità di evitare un “coinvolgimento irrazionale” e  nel rimanere il più possibile con i piedi per terra.

Secondo te, come è cambiato il mondo del lavoro negli ultimi tempi? E come cambierà in futuro?

Abbiamo ereditato una prospettiva molto statica di cos’è il lavoro: per i nostri genitori, per esempio, trovare un lavoro significava sapere che, nella maggior parte dei casi, in quella determinata azienda avresti passato il resto della tua vita fino alla pensione. Oggi il mercato è cambiato e non possiamo più pensare che esista una sola “anima gemella” a livello lavorativo: dobbiamo essere pronti a sperimentare, a metterci in discussione.

In Italia cambiare lavoro è diventato abbastanza facile, mentre resta molto tortuoso il cammino di chi decide di cambiare professione. Molte persone infatti decidono di cambiare strada perché scoprono nuovi interessi e nuove opportunità, ma il mercato italiano sembra essere ancora molto impermeabile a queste dinamiche. Credo che decidere di cambiare professione sia frutto di una maturazione personale e andrebbe rispettata e assecondata. Nella maggior parte dei casi, le competenze necessarie a cambiare professione possono essere acquisite strada facendo, ma questa è una mentalità che non è ancora riuscita ad attecchire nel nostro paese.

Per quanto riguarda il futuro, penso che il 2020 ci abbia insegnato molto per prepararci al futuro: è stato l’anno in cui ciò che non pensavamo sarebbe mai successo è diventato realtà, su più fronti. Una delle cose che dovremmo aver imparato è che bisogna aprirsi a concepire l’inconcepibile.

Un altro aspetto importante sono le competenze liquide, ovvero quelle che ci permetteranno di cambiare, evolvere, adattarci per affrontare i cambiamenti che inevitabilmente dovremo affrontare nel corso della nostra vita personale e professionale: sono competenze legate alla capacità di comunicare, al pensiero critico, alla creatività, ma anche all’intelligenza emotiva e tecnologica..

Un suggerimento che mi sento di dare è imparare a porsi costantemente delle domande, aprire un dialogo con se stessi. Mi capita molto spesso infatti di lavorare con persone che vogliono rimettersi in gioco, ma che per molto tempo non si sono fatti le domande giuste e ora si trovano bloccati. Bisogna iniziare presto, quando si è giovani, ad avere consapevolezza di sé  e di ciò che si vuole.

Si è passati da un modello di lavoro basato sul ruolo, a quello sulle competenze e oggi ci si sta spostando sul concetto di valore: che valore portiamo ogni giorno nel nostro lavoro? In futuro io credo che questa consapevolezza unita a un atteggiamento di cura potranno fare la differenza.

Ti occupi anche di comunicazione per le aziende, business writing e capitale relazionale. Come ti sei avvicinata al mondo della comunicazione?

Dopo anni nel settore del recruiting, sono tornata a interessarmi alla comunicazione e alla scrittura. Per me, è stato come fare un piccolo ritorno alle origini e in effetti più vado avanti, più mi sembra di tornare indietro alla me bambina a cui piaceva così tanto giocare con le parole.

All’inizio, quando lavoravo come recruiter scrivevo su Facebook dei lunghi post su come migliorare candidature e curriculum vitae ed evitare di cadere in alcune trappole in cui molti, purtroppo, cadevano fin troppo spesso. Volevo aiutare le persone a trovare il lavoro che cercavano e svelare i retroscena della mia professione.

Nel 2008 mi sono iscritta a LinkedIn e ad un certo punto ho iniziato a comunicare lì i miei consigli ma poco dopo mi sono accorta di aver commesso un grande errore in questo passaggio di social: sbagliavo il tono di voce, scrivevo in maniera troppo ironica e passavo per sarcastica, quindi non arrivavo davvero a chi volevo aiutare. Un giorno, una persona mi ha scritto in privato facendomi notare la cosa: non era quello che dicevo, ma come lo dicevo a essere sbagliato. Da quel momento, ho cambiato tono di voce e mi sono messa alla parte di chi legge.

E da lì è stato un crescendo e un avvicinarmi sempre di più ai temi della comunicazione efficace e della scrittura business.

Oggi ti direi che questo passaggio è stato per me una conferma: nella vita, non si abbandona mai niente, si fanno semplicemente dei pezzi di strada diversi da quelli che ci si aspettava di fare e va bene così, perché servono a farci crescere, ma poi ci si dirige sempre dove il nostro focus ci porta.

Dacci qualche consiglio in esclusiva: quali sono i tre errori da evitare nei cv di oggi?

  1. Sottovalutare l’importanza del job title. Il job title va scelto in maniera intelligente e tenendo conto del contesto. Se rispondo a un’inserzione andrò a ricalcare il più il job title della posizione pubblicata (purché coerente con il mio percorso, naturalmente), se voglio propormi in modo spontaneo invece indicherò il job title che rappresenta il giusto connubio tra ciò che desidero e ciò che sono (come competenze e conoscenze). Vietato mentire nel job title ma c’è spazio per le sfumature. È un campo importante e quindi va posizionato in modo che sia la prima cosa che il o la recruiter legge aprendo il documento.
  2. Un altro errore è dimenticarsi di scrivere una breve presentazione prima di raccontare le esperienze lavorative. Bastano poche righe: chi sei, cosa fai, come lo fai, perché dovrei sceglierti e quali obiettivi hai. Le lettere di presentazione sono utili, ma potrebbero perdersi nel database o essere collegate a un’inserzione specifica. Il CV invece deve contenere al proprio interno tutte le informazioni rilevanti e deve risultare convincente fin dall’inizio.
  3. E infine, basta ansia da cv in una pagina sola! Il curriculum su una pagina ha senso solo se il contenuto riesce a stare effettivamente nello spazio a disposizione. Se non ci sta, non fa niente. Comprimere tutto in una facciata infatti rischia di presentare un curriculum troppo pieno, che toglie il respiro a chi lo legge. L’analisi del curriculum dev’essere per il recruiter un’esperienza piacevole: il CV dev’essere navigabile, chiaro e facile da leggere!

 Cosa diresti alla te di dieci anni fa? Cosa diresti alla te del 2031?

Ascoltati di più, fidati di quello che senti e seguilo, dillo, esprimilo. Impara a dire dei no e non cercare sempre la compiacenza altrui. Datti il permesso di osare per il semplice fatto che sei tu a volerlo, non perché è una scelta di buon senso, giusta o benevola. E inizia a frequentare prima i corsi della Scuola Holden.

Alla me del 2031 direi: ricordati sempre del percorso che hai fatto, vivi il presente, proiettati nel futuro ma non lasciar scappare i ricordi. Quelli professionali ma soprattutto quelli personali. Non farti prendere dalla smania di fare di più. È già abbastanza, goditi tutto e abbraccia più che puoi. Sorridi, ricorda che è sempre stato uno dei tuoi punti di forza nel tuo crescere. E corri, ma solo con le scarpe da corsa ai piedi e i sentieri di montagna sotto le suole.

Raccontaci perché hai accettato di partecipare a WomenXImpact e perché, secondo te, altre persone dovrebbero farlo. Dacci almeno tre buoni motivi!

Ho accettato di partecipare a WomenXImpact perché dopo una vita intera a credere che, se ce la metti tutta, studi, ti fai avanti, lavori come una matta e ci credi, potrai fare quello che vuoi, al pari degli uomini, ho capito che non è esattamente così.
La mia esperienza personale e professionale mi ha insegnato anche che non è tenendo la testa bassa che ce la faremo ma alzando lo sguardo e sfruttando proprio la nostra asimmetria.

Ho accettato l’invito di Eleonora per poter dare il mio contributo in un attivismo volto a costruire più che a denunciare, orientato a crescere insieme in consapevolezza, strumenti e competenze.

Ed è per questo che consiglio di esserci:

  • perché c’è tanto bisogno di condivisione e di confronto diretto, vero e autentico e WXI offre (anche) questo,
  • perché dobbiamo darci il permesso di essere donne e di trarre forza da noi stesse e le tante testimonianze ci permetteranno di farlo,
  • perché sarà una festa e sarà bellissimo esserci.

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