La rubrica WorkSmart è curata Filippo Giustini, Consulente Branding & Strategist, fondatore di Marketing Toys e Federica Bonadie, Brand Ambassador di WomenX Impact e Contributor di Marketing Toys.

Diciamoci la verità: quando pensiamo allo smart working ci immaginiamo di farlo dalla spiaggia, con un cocktail guardando il tramonto. E magari postare anche la foto sui social, con l’hashtag #èperlavoro.

Tutto questo è molto affascinate, ma forse poco realistico.

Con un collega siamo stati all’Isola d’Elba per 3 giorni, a fine maggio. Ci siamo stati per diletto, e quindi avevo (io) lasciato il computer e tutto il necessario per lavorare da remoto a casa.

Ci aveva molto incuriosito l’isola, che conoscevamo già e che avevamo deciso di esplorare in bici, in modalità bike-packing, quindi con i (pochi) bagagli nelle borse appositamente allestite. Il mio compagno di viaggio si era portato il computer, perché i tre giorni ci eravamo ritagliati cadevano in settimana e lui non era riuscito a liberarsi da alcuni impegni: dirette, docenze, video call. Il mio tempo era più dilatato, il suo legato all’hotel, dove in certi momenti rientrava per lavorare, mentre a me era sufficiente una connessione per poter gestire mail e contatti.

Entrambi eravamo rimasti  positivamente colpiti questa “pausa” infrasettimanale, e visto che parliamo tutti di smart-working (e remote working) ho deciso di tornare sull’Isola d’Elba per un periodo più lungo, una settimana.
E ho deciso di farlo non per diletto ma per lavorare da qua, da remoto. Sempre in bici, appoggiandomi a un hotel (con piscina!).

Questo post lo sto scrivendo proprio dall’hotel: sono le 5.20 di mattina, intravedo l’alba dalla finestra della mia camera.

La settimana che mi aspettava, lavorativamente parlando, era abbastanza intensa, tra preventivi, progetti, video call e dirette. Ma allo stesso tempo avevo voglia di pedalare, scoprire qualche spiaggia, fare un po’ di riprese con il drone.

Non è tutto smart quello che luccica

Ho postato diverse foto sui miei canali social, da Instagram a Facebook, passando per LinkedIn e Twitter.

I commenti erano dei più disparati: “che bella vita”, “beato te, sempre in giro”, e via dicendo. Non mi risparmiavo nel rispondere a tutti dicendo che questa settimana lavoravo dall’Isola d’Elba, e non ero lì per divertimento.

Nel rispondere entravo anche nel dettaglio della mia giornata lavorativa e qualcuno mi ha anche fatto notare che in vacanza non si portava il computer. Ma io non ero in vacanza, questo era il punto.

Sono un digital worker che può decidere di lavorare da dove vuole e quando raccontavo la mia giornata lavorativa, le persone si intimorivano, perché forse alcune di loro, quella seggiola dell’ufficio comoda e sicura, non l’avrebbero certo barattata con la mia bici e postazioni di lavoro improvvisate, la sveglia alle 4 di notte per lavorare.

Lavorare everytime, everywhere

Non credo che lavorare da remoto ed essere un digital worker sia per tutti, ne abbiamo già parlato nell’articolo di aprile: ci vogliono  dedizione, organizzazione, disciplina, come in tutti lavori, ma se decidiamo di farlo da remoto e anche in luoghi apparentemente piacevoli e pieni di distrazione il fattore disciplina è determinante.

Io ho aperto il computer una volta salito sul traghetto e l’ho spento quando sono rientrato domenica pomeriggio.

Le mie giornate iniziavano incredibilmente presto: tra le 4 e le 4.30 del mattino. Lavoravo per circa due ore, guardando l’alba dalla mia finestra vista mare. Le prime ore della mattina erano dedicate all’organizzazione della mia giornata: email, messaggi, commenti, condivisione articoli su LinkedIn. Dedicavo questo tempo della giornata ad attività intellettuali che mi richiedevano concentrazione e lucidità, lo facevo con una felpa e due cuscini, seduto sul mio letto di albergo.

Verso le 6.30 uscivo per due passi in riva al mare, circa un’oretta, senza distrarmi dal cellulare mi godevo questo magico momento, magari facevo e postavo qualche foto. Colazione rigorosamente fuori, così da illudermi di essere in vacanza, poi rientravo e continuavo a lavorare fino alle 9.30-10.00.

A quell’ora avevo già lavorato – al netto di colazione e passeggiata – più di 4 ore, mi trovavo quasi a metà della mia giornata lavorativa “tradizionale”.

Durante la giornata avevo sempre 3-4 videochiamate, che dovevo programmare bene. Mi spostavo quindi in bici, con appresso un cavalletto, gli auricolari e una battery bank.

Non avevo voglia di guardare costantemente l’orologio per sapere a che ora avevo la call, quindi programmavo delle sveglie 15 minuti prima dell’inizio così da permettermi di trovare un luogo adatto, poco rumoroso e darmi una sistemata (o meglio, una pettinata!). Nonostante fossi in luogo di vacanza, ci tenevo a mantenere una certa professionalità, quindi niente occhiali da sole, niente vista mare, niente cocktail in mano.

Gli spostamenti in bici sono relativamente semplici: 15 km all’Isola d’Elba, con un dislivello di 500 metri possono però significare anche più di un’ora, ma spesso si tende a sottovalutare quanto distante (e faticoso) sia spostarsi in bici, ritrovandosi così troppo lontani dall’hotel per svolgere una diretta Facebook. Così si finisce per allestire un piccolo spazio all’aperto, per poi dopo ripartire al tramonto verso l’hotel.

Le giornate passavano così: sveglia alle 4, computer, lavoro, bici e qualche bagno.

Alcune mattine lavoravo dalle 4.30 alle 12.00 in hotel, per poi concedermi un bagno e una pausa di un paio di ore in qualche bellissima spiaggia, perché in fondo sì, mi trovavo in un posto bellissimo e lavorare da qua sicuramente mi ha rigenerato.

Ma a rigenerarmi non è stato tanto la routine lavorativa (abbastanza stravolta negli orari) quanto bensì le pause che facevo: erano pause lontano dalle mie abitudini, che hanno dato uno stimolo creativo importante alla mia settimana.

Lucidità, reattività, flessibilità: gli intervalli tra un momento lavorativo e un altro erano ossigeno, erano pieni di  di idee.

E questo non lo notavo tanto io, quanto i miei colleghi con i quali mi scrivevo e condividevo idee e pensieri su progetti in corso.

Quindi si, lavorare da remoto e su una bellissima isola è possibile.
Ma è pur sempre lavoro, quindi disciplina ed organizzazione ne sono alla base: poi se ci scappa uno spritz in riva al mare, a fine giornata, non è mica la morte di nessuno, siamo pur sempre smart e agili, no?

P.S. “Non puoi aspettare che arrivi l’ispirazione. Devi andarne in cerca con un bastone” diceva Jack London. In questo caso, la bici e l’isola sono stati il mio bastone.

Filippo Giustini


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