Barbie icona di stile: la fashion doll che la Mattel ha iniziato a commercializzare a partire dal 9 marzo 1959.
Il vero nome di questa giovane donna è Barbara Millicent Roberts e può essere definita la bambola più venduta al mondo!

E’ stato il primo giocattolo che ha puntato sulla pubblicità televisiva: un’intensissima campagna di Marketing che ha permesso all’ azienda di dichiarare che vengono vendute 3 barbie al secondo.

Incarnazione della perfezione, bionda, occhi chiari, truccata, è entrata quindi nelle case di miliardi di persone. Svariati i lavori che Barbie ha fatto: Barbie astronauta, l’insegnante d’arte, la baby sitter, la dentista, la pediatra, la pasticciera e potremmo continuare all’infinito! Ovviamente sempre in ordine, mai un capello fuori posto, rappresentando così un esempio di realtà davvero poco inclusivo e tantomeno vicino al quotidiano.

Il cambiamento avviene nel 2016, con la Linea fashionistas: si mette al centro del prodotto una bellezza reale, con forme e colori differenti, che rispecchia la diversità e l’unicità di ogni essere umano.
La Mattel si impegna in questo progetto che prevede quattro tipi di corpi differenti, diciotto tipi di costituzione, tredici tonalità di pelle, ben nove colori differenti per gli occhi e ventidue colori di capelli tra cui scegliere.

Tra i numerosi elementi peculiari di questa linea di Barbie è possibile notare Ken con i capelli più lunghi e una bambola con la vitiligine. Dunque, è chiaro che in casa Mattel l’attenzione verso la Diversity & Inclusion stia diventando sempre più cruciale e costituisca uno degli elementi distintivi dell’azienda.

Se si guarda alla struttura aziendale complessiva, questi cambiamenti generano notevoli costi: basti semplicemente pensare al guardaroba diverso per ogni bambola e alla possibilità di scambiarlo. Al contempo, le novità introdotte generano non poco scompiglio anche nella società, abituata a vedere riflessi in Barbie i canoni di bellezza tradizionali.

A questo punto, sorge spontaneo chiedersi se la Mattel sia sempre stata così attenta a tali tematiche.

Nel 1976 l’azienda lanciò Becky, la barbie sulla sedia a rotelle. Tuttavia, presto sorsero le prime polemiche a causa di un grosso problema legato alle barrire architettoniche: la bambola non entrava dentro la casa di Barbie poiché la porta della casa risultava troppo piccola e non consentiva il passaggio della carrozzina.
La Mattel poco dopo si scusò e produsse una nuova Barbie compatibile con la casa.

Questo episodio richiama ciò che moltissime persone si ritrovano ad affrontare nella vita di tutti i giorni: barriere architettoniche in ogni dove e impossibilità di recarsi in molteplici luoghi per soddisfare le loro necessità.

Sebbene da quel momento siano stati fatti enormi passi in avanti in termini di inclusività, si tratta di episodi di cui il mercato ha tenuto conto.

A  questo punto, sorge anche un’ulteriore importante domanda: questi giocattoli entrano nelle case di milioni di persone, ma vengono acquistati solamente da un pubblico che ha delle disabilità con l’intento di sentirsi rappresentati da un prodotto iconico?
Oppure verranno acquistati sia famiglie di bambini con disabilità sia da famiglie di bambini senza alcuna disabilità?
Ovviamente la seconda ipotesi è quella più auspicabile e si spera che rappresenti l’intento con cui la Mattel ha creato questa nuova linea.

 

Monica Deledda