Viviamo nell’era del wearable activism: diventa sempre più frequente indossare una t-shirt con su scritto “Feminist” per prendere posizione e supportare una battaglia che va avanti da decenni, per cui tante donne hanno lottato e ancora oggi lottano, una battaglia a cui tante donne hanno dedicato la propria vita, diventando dei simboli nella storia del femminismo e role model per le successive generazioni.

La moda oggi si presta come un veicolo di comunicazione fondamentale ed incorpora tutti i più rilevanti cambiamenti sociali: infatti, quando un team creativo si riunisce per sviluppare una collezione, il primo brainstorming inizia proprio dalla discussione su ciò che sta succedendo nella società in cui viviamo, quali sono i movimenti e i cambiamenti più importanti per il brand e in che modo possono essere interpretati.

La moda si presta come portavoce di posizioni politiche e dà la possibilità di esprimersi ed essere trendy allo stesso momento.

Dal punto di vista storico, la moda ha profondamente influenzato la società: Coco Chanel è stata la pioniera della moda a supporto dell’emancipazione femminile per aver reso popolari i pantaloni da donna e il tailleur negli anni ’20, rendendoli capi di abbigliamento chiave nel guardaroba femminile, contribuendo a liberare le donne dal corsetto e spingendole verso una vita più dinamica e indipendente. Infatti, Chanel sosteneva che «la vera eleganza non può prescindere dalla piena possibilità del libero movimento»

Tornando ai giorni nostri, certamente in questo ambito c’è chi ha recentemente fatto la differenza: una sfilata iconica è stata quella di Dior del 2016 a Parigi, ideata da Maria Grazia Chiuri, dove le modelle hanno sfilato indossando una t-shirt bianca che riportava la scritta “We Should All Be Feminists”. Infatti, sin dal suo debutto come direttrice creativa, la Chiuri ha esplicitato la sua intenzione di rivoluzionare il ruolo della moda nella lotta per i diritti delle donne. Proprio questa t-shirt ha rappresentato il primo passo per dimostrare quanto moda, politica e società siano indissolubilmente legate, nonostante lo scetticismo di molti.

La stilista ha utilizzato sin da subito la sua influenza nel settore della moda per dare voce alle donne e per denunciare le discriminazioni che ancora oggi affliggono il genere femminile e ritiene che anche altri colleghi stilisti debbano fare lo stesso: sfruttare la risonanza che la moda ha nel panorama sociale per lanciare dei messaggi che possano impattare positivamente la condizione delle donne nel mondo e generare empowerment. Secondo la Chiuri, infatti, la moda ha il potere di «amplificare la forza della donna e renderla comprensibile a un vasto pubblico». 

Infatti, le sue collezioni celebrano il connubio tra arte e femminismo per promuoverne gli ideali.

In un’intervista la stilista ha dichiarato: «Oggi più che mai, il femminismo è una consapevolezza, di uomini e donne, che deve essere parte naturale nel modo di affrontare il mondo. […] Credo che la moda sia un’arma potentissima per dare forma a un messaggio positivo e farlo arrivare a tutti. Così sfrutto questo straordinario potere comunicativo per far arrivare il mio messaggio e creare una rete di pensieri e azioni tra donne a tutti i livelli. Per me oggi il femminismo è prima di tutto uguaglianza, attivismo, orgoglio, condivisione». 

Anche durante la Paris Fashion Week del 2018, vi sono stati diversi riferimenti a figure femminili, come la surrealista argentina Leonor Fini, e a intellettuali, come la storica dell’arte americana Linda Nochlin, che ha dato vita alla frase “Why have there been no great women artists?”, stampata sulla t-shirt a righe di Dior.

Inoltre, Dior ha sponsorizzato eventi culturali di stampo femminista come Il soggetto Imprevisto. 1978, Arte e Femminismo in Italia, incentrata sulla demistificazione degli stereotipi di genere.

Dopo aver ispirato milioni di persone ed essere comparsa nei profili di influencer e star di Hollywood come Chiara Ferragni e Rihanna, la t-shirt ha dato il via alla moda degli slogan femministi che è iniziata dai brand di lusso per poi espandersi fino ad arrivare alle grandi catene del fast-fashion.

Proprio Chiara Ferragni ha indossato al Festival di Sanremo 2023 diversi abiti che condividevano messaggi femministi: uno tra tutti l’abito Dior disegnato da Maria Grazia Chiuri, che riporta la scritta “Pensati Libera”, vuole ispirare tutte le donne a sentirsi libere, ad uscire da un ruolo imposto dalla società e a non avere paura di sentirsi giudicate dal prossimo.

Maria Grazia Chiuri ha rivoluzionato il concetto di moda: non più solo moda, ma un vero e proprio strumento politico. Tuttavia, non sono mancate le polemiche: vi è chi sostiene che la moda sia solo una mera mercificazione di movimenti culturali, i quali non potranno ami essere ridotti a semplici slogan stampati su capi di abbigliamento.

Nel 2022, Gucci ha presentato una capsule collection chiamata Generation Equality, in collaborazione con Chime for Change, a sostegno della parità di genere, caratterizzata dallo slogan «None of us can move forward if half of us are held back». Il messaggio che Gucci vuole tramettere è che, se alle donne non viene riconosciuta la parità di genere, anche gli uomini avranno difficoltà ad andare avanti poiché viene generato un danno a livello collettivo per tutta la società, non solo per le donne.

Durante il lancio di questa capsule collection, Gucci ha annunciato il sostegno a diverse organizzazioni internazionali, organizzazioni femministe, movimenti e attivisti. Un esempio è il finanziamento delle Action Coalition di Generation Equality di UN Women, che facilitano donazioni e offrono sostegno a giovani attivisti per lo sviluppo di iniziative a livello globale.

«Mentre entriamo nel secondo secolo di storia del nostro brand, l’impegno di Gucci per un mondo più equo e inclusivo si fa più forte e concreto», ha dichiarato Marco Bizzarri, presidente e CEO di Gucci.

Molti altri brand, anche nel fast fashion, hanno recentemente abbracciato la causa del femminismo riportando i celebri slogan sui loro capi di abbigliamento, dopo aver visto che si tratta di un tema scottante e dopo che i brand più celebri hanno preso una chiara posizione. Quando un tema di questa importanza diventa centrale nel dibattito sociale, le aziende hanno interesse a mostrarsi sensibili e attente, per mantenere integra la propria brand reputation. Tuttavia, spesso si notano delle discrepanze tra le iniziative o campagne pubblicitarie a tema femminismo che l’azienda porta avanti e le sue azioni concrete nel quotidiano.

Il termine “pinkwashing”, infatti, si riferisce proprio a tutte le iniziative che solo all’apparenza sono incentrate su tematiche femministe, con lo scopo di attrarre o fidelizzare i consumatori più attenti al tema. Una pratica simile è il “greenwashing”, che consiste nel fingersi dediti ad iniziative legate alla sostenibilità o all’ambiente per conquistare i consumatori ecologisti, anche quando le aziende nel concreto non si impegnano ad operare realmente in modo sostenibile.

In questo momento storico, la tentazione di dichiararsi vicini a tematiche femministe è molto forte per le aziende perché vogliono “cavalcare l’onda”, sperando di convertire tali iniziative in un profitto economico a breve termine. Tuttavia, questo atteggiamento è solo controproducente perché volto ad ingannare i consumatori, che sono invece sempre più informati e sempre più consapevoli.

Prima di promuovere iniziative incentrate su tematiche sociali particolarmente sentite, le aziende dovrebbero accertarsi che i propri valori, le azioni concrete che praticano nel quotidiano, la propria vision e mission, siano in linea con il messaggio che vogliono trasmettere ai consumatori.

Alcuni aspetti da tenere in considerazione sono indubbiamente:

  • Produzione: nei Paesi in cui l’azienda produce sono rispettati i diritti delle donne?
  • Gender pay gap: all’interno dell’azienda gli stipendi sono effettivamente allineati tra uomini e donne?
  • Collaborazioni: gli altri brand con cui l’azienda collabora (o con cui ha collaborato recentemente) sono attenti alle tematiche femministe? Ci sono stati scandali?
  • Leadership: quante posizioni manageriali all’interno dell’azienda sono ricoperte da donne? Vi è un importante gap tra la presenza femminile in posizioni entry-level/mid-level e posizioni manageriali? Se sì, l’azienda sta attualmente implementando delle misure per ridurre (o preferibilmente azzerare) questo gap?
  • Influencers/Ambassadors: chi rappresenta il brand pubblicamente ha preso una posizione riguardo il femminismo? È in linea con ciò che sta comunicando il brand?

Le aziende hanno un ruolo molto importante nel sensibilizzare ed educare i propri consumatori, dunque l’augurio per il futuro è che si rendano conto che l’importanza di queste tematiche non può essere limitata al semplice profitto o all’apparenza ma sono necessarie azioni coerenti e costanti nel tempo.

Laura Ieni