Il miglioramento personale e l’accettazione di sé sono due facce della stessa medaglia. Entrambi fanno parte di un percorso di crescita che abbraccia sia la mente che il corpo.

È importante sottolinearlo perché spesso l’aspetto esteriore viene sottovalutato come una semplice questione di vanità. Ma non è così: esistono ancora tanti pregiudizi basati sull’apparenza nella nostra società, specialmente sull’aspetto della nostra pelle.

Pensiamo al primo impatto durante un colloquio o un incontro di lavoro tra una persona con una certa condizione cutanea e una mente prevenuta che si lascia condizionare solo dall’aspetto fisico.

Assistiamo in questi casi a una situazione di skin shaming, ovvero di discriminazione oppure disagio causato dall’aspetto del nostro viso. Fortunatamente, questi episodi stanno diventando sempre meno diffusi grazie a due grandi linee di pensiero: la skin positivity e la skin neutrality.

Dalla skin positivity alla skin neutrality

Negli anni, social media, filtri e Photoshop hanno influenzato pesantemente il modo in cui concepiamo la pelle, la salute o la bellezza. In realtà, la pelle ha singole caratteristiche e non è mai così liscia, chiara e senza rughe come viene rappresentata sui cartelloni pubblicitari e online.

Per rivendicare l’esistenza di pelli diverse dai canoni nasce la skin positivity, un movimento che abbraccia le cosiddette “imperfezioni della pelle” come acne, cicatrici, smagliature, rughe, vitiligine, albinismo, psoriasi, iper o ipopigmentazione.

La prima a utilizzare il termine “skin positivity” è stata la vlogger Em Ford, che in un video intitolato “You look disgusting” ha parlato apertamente degli episodi di cyberbullismo subiti a causa dell’acne.

L’obiettivo finale di questa linea di pensiero è quello di portare le persone a sentirsi comprese, incluse, coinvolte, non lasciate da parte, e non percepire il bisogno di coprirsi o nascondersi.

Non significa che dobbiamo abbandonare la nostra routine di selfcare o skincare, ma riconoscere, legittimare ed esaltare l’esistenza di pelli uniche e autentiche.

Nel tempo poi, in parallelo alla skin positivity si è sviluppata anche un’altra corrente, la skin neutrality. La “neutralità” a cui si rifà il nome riguarda  la consapevolezza che il modo in cui la pelle appare in fondo non dovrebbe avere importanza. La pioniera di questa nuova mentalità è Anne Poirier, che ha organizzato vari workshop di sensibilizzazione ispirandosi al concetto di body neutrality nato nel 2015.

L’obiettivo del workshop e della skin neutrality in generale è quella di spostare il focus dall’aspetto della pelle verso un atteggiamento di accettazione che ci permette di concentrarci su ciò che ci rende felici, indipendentemente da come appariamo.

Posso darti qualche consiglio?

Per capire a fondo la skin positivity e la skin neutrality, il consiglio è quello di iniziare a seguire gli hashtag e i profili di chi si occupa di questi temi sui social network. In pochissimo tempo, il tuo feed si popolerà di volti veri, autentici, e il tuo sguardo allo specchio e nei confronti degli altri diventerà meno giudicante.

Un altro suggerimento è poi quello di imparare a non dare feedback non richiesti: i consigli su come “migliorare” la pelle della altre persone, specialmente se non si è esperti del settore, rischiano di offendere e mettere a disagio chi li riceve. Anche questo è un piccolo passo nei confronti della skin awareness.

Verso lo skin empowerment

I tratti fisici o le condizioni che non rispondono agli standard di bellezza definiti dai media portano spesso a comportamenti di bullismo e skin shaming a scuola, al lavoro e online.

I pionieri della positività o della neutralità stanno aprendo la strada a una società più tollerante, obbligando le aziende, i produttori e tutti coloro che ci circondano a cambiare atteggiamento e progettare campagne più inclusive.

Il futuro ci mette davanti a una sfida e solo accettando noi stessi possiamo spingere le altre persone a fare lo stesso.

Sophie De Cock


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