Con oltre 10 anni di esperienza in tutte le aree di diritto del lavoro, ti occupi di aziende nazionali ed internazionali. Com’è nata questa passione?
«Il diritto del lavoro è forse la materia legale che più di tutte consente di avere a che fare con le persone e con la “relazione”. E questo mi ha sempre affascinata.
In particolare, occupandoci molto anche di consulenza e non solo di contenzioso, è possibile intervenire e partecipare alla costruzione di progetti che consentano davvero di migliorare la vita delle persone, degli ambienti e del modo di interagire.
Gli ultimi anni, in particolare, hanno messo in luce la capacità del diritto del lavoro di affermarsi non solo e non più come campo di scontro tra forze opposte ma come leva per immaginare nuovi modi di intendere e vivere le organizzazioni e l’attività che di fatto occupa un tempo notevole della nostra vita»
Hai avuto difficoltà come donna ad affermarti e a raggiungere questo livello?
«Non posso negare che la mia professione (quella di avvocat* ma in particolare di c.d. avvocat* d’affar*) sia ancora molto maschile ed anche, per altro verso, molto collegata all’età anagrafica. Ottenere riconoscimento di valore e credito professionale per una donna giovane non è semplice. Ogni Collega nel suo percorso, come me, si è sentita sicuramente appellare mille volte “signorina” o “dottoressa”, pur avendo acquisito il titolo di Avvocata, o si è sentita rivolgere la richiesta di clienti di poter “parlare con il titolare”, sempre a sminuire il ruolo esercitato.
Un ambiente maschile e chiuso che non si limita solo alla mia professione, ma è purtroppo presente ancora in molti settori.
In tutto questo però devo riconoscere, con sincerità, di aver trovato anche molte persone che hanno creduto in me, persone che hanno riconosciuto e sostenuto la mia professionalità.
Per questo cerco sempre di ricordare che la battaglia delle donne per ottenere pari opportunità (non opportunità superiori) per far valere il loro merito, non è una battaglia contro gli uomini ma contro un sistema, preclusivo, che pone filtri all’ingresso affinché il puro merito possa prevalere nelle scelte individuali e collettive.
Oggi, purtroppo, contrariamente a quanto si dice, questo risultato è lontano dall’essere raggiunto. Fortunatamente io sono Partner in uno Studio caratterizzato da un’importante componente femminile, particolarmente nelle posizioni di responsabilità all’interno della governance, ma non solo. Le donne rappresentano il 60% dei professionisti e il 41% dei partner, alcune delle quali, come me, sono alla guida di una sede e fanno parte del CdA dello Studio»
Che consiglio daresti alle giovani avvocate, appena laureate?
«I consigli che darei ad ogni donna che si affacci al proprio percorso lavorativo sono due.
Il primo è di non avere mai paura di alzare la mano ed esprimere un’opinione (a volte i contesti in cui ci troviamo possono indurci a credere che questo non sia consentito, o non sia “ancora” alla nostra portata), perché in realtà l’intelligenza e lo spirito di iniziativa vengono tendenzialmente apprezzati; se rileviamo che non lo sono è l’ambiente che abbiamo intorno ad essere sbagliato. Va cambiato quello, non il nostro desiderio di contribuire.
Il secondo è quello di fondare la propria sicurezza nella preparazione e nella competenza. E su questa forza respingere i tentativi nei loro confronti di farle sentire inadeguate, se non sono infrangibili; non pronte, se non si mostrano impermeabili; non serie, se indisponibili a nascondere la propria femminilità»
Il tuo speech a WXI 2022 si intitola “Mind the gap…or the law? È la cultura che crea la norma o è la norma che spinge la cultura? L’irrisolto dilemma”, è un tema veramente interessante, puoi darci qualche anticipazione?
«La mia scelta professionale racconta quanto io creda nel valore delle norme e quindi quanto io sia convinta che le giuste scelte legislative possa realmente impattare sul corso della storia. Quindi anche della storia «dell’empowerment delle donne».
Resta però un fatto: ogni legge resta lettera morta se non è accettata dalla coscienza collettiva e se ognuno di noi non le dà vita concreta nella propria quotidianità. Spero che l’evento di novembre possa contribuire ad un aumento di partecipazione»
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