Laurea in Bocconi a cui seguono una moltitudine di esperienze lavorative di altissimo livello tra New York, Hong Kong, Giappone, Korea, Sydney.
Cosa ti ha dato il poter lavorare in stati ma soprattutto in continenti diversi? Quanto le esperienze internazionali hanno contato nella tua crescita personale e professionale?
«Ho sempre sentito la necessità di buttarmi in sfide sin da bambina, andai negli Stati Uniti da sola per la prima volta a 11 anni, e da lì non mi sono mai fermata. Ho avuto la fortuna di vivere un po’ ovunque durante la mia adolescenza, da Kauai (la più remota delle isole Hawaiane) dove ho vissuto gli ultimi anni del liceo, a Buenos Aires, Milano e New York durante gli studi universitari. Ho sempre sentito una sorta di bisogno viscerale di mettermi alla prova, confrontarmi con nuove realtà, persone e culture, ed essenzialmente migliorarmi tramite questi confronti.
La spinta motivazionale più grande è stata quella di non dubitare mai SE ce l’avrei fatta, ma di accettare che a volte ci avrei solamente messo più sudore e tempo di quello previsto, e nel caso, correlando sempre un motivo a quell’ostacolo in più. Non credo al destino, ma credo fermamente al fatto che ogni cosa abbia eventualmente un senso, forse non oggi, domani o tra un mese. Ma so certamente che oggi non sarei qui, se non fosse stato per tutti i fallimenti e ostacoli affrontati. Lavorare in cosi tante realtà diverse rappresenta il fondamento di quella che penso sia la mia forza, il mio valore aggiunto non solo come professionista ma anche e come persona. La mia esperienza accademica e lavorativa negli Stati Uniti mi ha esposto a quell’idea potentissima del “if you want you can”: che se vuoi davvero qualcosa, e ti impegni, niente è irraggiungibile. Il mio capitolo in Asia mi ha insegnato l’importanza di non dimenticarsi mai della cultura in si opera, che business e cultura non possono essere separati, e che è essenziale prendersi del tempo per conoscere, farsi conoscere e ottenere la fiducia e il rispetto altrui. Mi ha anche insegnato la dote della pazienza, del dettaglio, del lavoro certosino e puntuale. E infine l’Australia mi ha esposto alla bellezza dell’operare in una sorta di realtà parallela, dove puoi permetterti di rischiare e sperimentare più spesso, senza avere paura di un eventuale fallimento, ma anzi, quasi ricercarlo. Ma alla fine di tutto, il valore sicuramente più grande, risiede nelle relazioni che ho creato con persone così diverse l’una dall’altra: espormi a cosi tanti, e differenti, punti di vista e opinioni non solo mi ha arricchito a livello personale, ma ha agito come una sorta di acceleratore di crescita. Perchè non si può migliorare da soli, si migliora solo tramite esperienze e confronti»
Il mondo di oggi è sempre più globalizzato e le strategie aziendali sempre più internazionali. Secondo la tua esperienza, quanto la diversity è un fattore di innovazione nei team?
«La risposta? TANTO, e per molteplici motivi.
Il primo è tanto semplice quanto a volte dato per scontato – un diverse team riesce a creare maggiore innovazione: chiunque faccia “innovazione” sta creando prodotti o servizi con l’obiettivo di beneficiare il cliente finale. Ora, non esiste UN cliente, a prescindere dall’industria, territorio, prodotto in sé, ogni giorno creiamo prodotti e servizi per individui dotati di diverse identità, sfaccettature, preferenze, e bisogni. La necessità di portare diversità nei team nasce essenzialmente dalla necessità di potere (e dovere) innovare per una vasta varietà di clienti.
C’e poi l’aspetto legato alla produttività – un diverse team vuol dire avere a disposizione un gruppo di persone dotato di un range molto più vasto di capacità e skills differenti, che a loro volta portano a più idee, più creatività, e un confronto più costruttivo e efficace, riuscendo poi ad innovare non solo più velocemente, ma anche meglio.
E infine (ma non ultimo) – la soddisfazione del dipendente. Avere un team inclusivo e diverso costituisce un enorme valore aggiunto per i membri di quel team. Essere parte di una realtà aperta al confronto, a diverse idee, opinioni e punti di vista ci fa sentire accettati, stimati, e banalmente, felici. E se posso aggiungere un ultimo punto – il successo di una compagnia risiede nel talento di chi ci lavora. Il mondo si sta (giustamente) evolvendo, ed il talento di oggi non può più accettare realtà monodirezionali e i fatidici ” boys clubs”- i veri talenti esigono di operare in realtà stimolanti, dinamiche, e propense al confronto costante. Pochi veri talenti oggigiorno accetterebbero di operare in un team in cui chiunque pensi come loro! »
Hai lavorato in quattro diversi continenti e sei sempre riuscita ad eccellere. Che consiglio daresti alle giovani appena laureate che si approcciano per la prima volta al mondo del lavoro? Consigli pratici?
«Me ne vengono in mente un paio…
– La curiosità è un motore potentissimo. Non sarei dove sono se non fossi curiosa. Non lasciare che siano i soldi, la fama, o la possibilità di una “quick win” a motivarti. Lascia che sia la tua curiosità, la voglia di imparare, migliorare, e diventare un professionista (e persona) più completa.
– Grinta e positività – Due cose che non abbandono MAI, indipendentemente da quanto possa sembrare terribile o difficile una situazione. Usando una metafora, la positività è la capacita di “galleggiare” sull’ acqua (invece che affondare), mentre la grinta è la capacità di tornare a galla quando il mare è in tempesta e le onde ti spingono giù.
– Non sottovalutare l’importanza delle relazioni umane. Viviamo in una società in cui troppo spesso ci si chiude in sé stessi e nel proprio mondo, e la tecnologia ci ha permesso di farlo in modo spaventosamente facile. Potremmo passare mesi senza relazionarci con qualcuno, ma “pensando” di averlo fatto, di avere una sorta di connesione con l’esterno. La realtà? I rapporti con gli altri sono tutto. E spesso relazioni richiedono tempo e impegno per essere create, e ancora più tempo e impegno per essere coltivate. Ogni mio capitolo importante di vita professionale è stato contraddistinto dalla presenza di una o più persone che hanno giocato un ruolo fondamentale nella mia storia.
Quello che semini, raccogli – C’è una frase a cui penso spesso “people will forget what you said, people will forget what you did, but they will never forget how you made them feel”. Non c’è frase più vera. Non buttare giù altri, solo per potere spendere più tu. Magari all’inizio porterà qualche vittoria temporanea, ma alla lunga, male porta buio, bene porta luce.
Non comparare mai te stesso agli altri, non c’è via più veloce all’infelicità.
Trust your gut, segui il tuo istinto – molte cose non avranno subito senso, e va bene così
E’ importante seguire l’istinto ma altrettanto avere un’intenzione molto chiara di quello che vuoi. In inglese dico sempre “be stubborn on the vision, flexible on details”. Non deve andare tutto secondo i piani. Fissati un obiettivo, e non cambiare la tua meta. Ma dimostrati flessibile su come ci arriverai. Credi a te stesso, se non lo fai tu, nessun altro lo farà.
Nel tuo speech a WXI, e nel tuo workshop più nel dettaglio parlerai di “Emotional Intelligence”, puoi darci qualche anticipazione?
«Certo! Allora piccolo preambolo – ognuno di noi è composto da tre componenti principali: la personalità, l’EQ (intelligenza emotiva), e l’IQ (quoziente intellettivo). Per anni siamo cresciuti con la convinzione che l’IQ fosse l’unico dato che potesse rappresentare la probabilità di “successo” , soprattutto a livello professionale, di un individuo – maggiore è il quoziente intellettivo, maggiore sarà il tuo successo. Nell’ultimo decennio, si sono fatti enormi passi avanti, arrivando alla conclusione che non solo non esiste una provata correlazione tra IQ e successo, ma che anzi, l’EQ (intelligenza emotiva) sia la vera metrica di rilevanza. Mentre l’IQ è un numero che indica un ragionamento o una capacità logica rispetto alla norma statistica, l’EQ implica il livello di intelligenza empirica della persona. EQ è definita come la capacità di un individuo di identificare, valutare, controllare ed esprimere emozioni.
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