In questo articolo scoprirai quali sono i 10 lavori più richiesti nel 2023 e come poter disegnare un futuro privo di tech gender bias

 

La scorsa settimana abbiamo inaugurato questa rubrica parlando della forza creativa che si cela dietro alle competenze STEM.

Oggi, riprendendo lo studio The Future of Jobs Report 2020 del World Economic Forum, invece esaminiamo qualche numero, per avere una visione consapevole del futuro.

Un futuro che le nuove generazioni di donne si accingono a plasmare, proprio oggi, con le loro scelte in campo educativo.

La scorsa volta abbiamo visto quanta passione e determinazione si celino dietro alla consapevolezza interiore di chi sa che sta apportando un cambiamento positivo e tangibile col proprio lavoro, di chi sta seguendo i propri ideali.

 

Nel 2030 svolgerai un lavoro che oggi non esiste

I laureati in materie STEM continuano a essere solo il 26% nei Paesi europei e il numero scende a circa il 15% per le donne.

Da diversi studi emerge come ciò dipenda anche da bias di genere secondo cui le materie STEM vengono considerate più difficili e richiedano maggior tempo e risorse economiche rispetto ad altre. Se poi aggiungiamo gli stereotipi di genere che vogliono le donne meno portate in questi settori, il gioco è fatto.

In realtà chi sceglie un percorso scientifico-tecnologico, non solo ha più probabilità di trovare un impiego ma, come conferma uno studio di Almalaurea

Nonostante questo c’è una discrepanza sempre più forte tra l’altissima richiesta del mondo del lavoro e il numero di persone che decidono di intraprendere un percorso di studi STEM.

In Italia quasi la metà delle imprese ha già avuto difficoltà a trovare candidati con questo tipo di formazione, per questo è fondamentale capire quale sia la direzione che il mondo sta prendendo, invece di farsi semplicemente trasportare.

Secondo l’Institute for the Future, se ad oggi sei uno studente/una studentessa, già nel 2030 svolgerai un lavoro che oggi non esiste.

 

I 10 lavori più richiesti e più pagati nel 2023

Il record in busta paga spetta ai laureati di ingegneria industriale e dell’informazione, di informatica e tecnologie ICT, con quasi 2mila euro mensili netti ad un solo anno dal titolo.

Probabilmente solo a leggere i nomi con cui vengono descritti i lavori sopra elencati viene un mezzo sbadiglio, o un po’ di disagio. Sembrano strani, inarrivabili come il barattolo di biscotti sullo scaffale più alto, noiosi come la recita di Natale in cui dovevi interpretare sempre e solo l’albero.

Sembrano davvero lavori noiosi e difficili, ma c’è un motivo, anzi, due:

  • da quei titoloni non si capisce quanta magia, inventiva e creatività ci sia dietro;
  • non riusciamo ancora a comprendere cosa significhino, in termini reali, per la nostra vita.

 

Plasmare il futuro tecnologico per abbattere il gap

Quei 700’000 posti di lavoro noi donne dovremmo andare a prenderceli, anche la metà, perché è un nostro diritto, non solo un dovere nei confronti di noi stesse per un’opportunità da non perdere. È un dovere nei confronti della società, perché, come ricorda spesso anche Claudia Canali, inventrice di un eccezionale programma estivo di coding per ragazze:

“Oggi l’innovazione ed il progresso hanno bisogno di idee”.

 

Ti ricordi di tutti quei posti di lavoro, a inizio articolo, che abbiamo visto andranno persi? E di quelli si andranno a creare, che non saranno gli stessi?

Significa che ci troveremo davanti ad una pagina bianca, tutta da scrivere.

Parafrasando il bellissimo TedX della Prof. Canali:

“È un’occasione unica nella storia, che ci permette di riscriverne le regole! Il limite non è la tecnologia, che oggi ci permette di fare qualsiasi cosa, il limite è la mancanza di idee, di fantasia, di creatività per trovare soluzioni nuove. E in questo senso perdere il contributo delle donne significa permettere agli uomini di disegnare, ancora una volta, il mondo da soli”.

 

I bias di genere nelle nuove tecnologie (tech gender bias)

Ora però è arrivato il momento di rendersi conto, soprattutto per le nuove generazioni di donne, che se non sei rappresentata non esisti.

Esempio lampante sono tutti i bias di genere presenti nella maggior parte delle app, dei dati e dei software che utilizziamo quotidianamente.

Lo abbiamo visto con il clamoroso caso di Siri,  con i software per il recruitment online o con quelli utilizzati in pronto soccorso per riconoscere i sintomi dell’infarto, che sono tutt’ora tarati sulle sintomatologie maschili e non su quelle femminili (ne consegue che molti infarti non vengano riconosciuti per tempo).

Tutto ciò accade perché le donne hanno avuto poca possibilità di partecipare alla nascita delle tecnologie emergenti, magari il fatto non è stato voluto, ma è successo. Oggi, consapevoli di ciò, non possiamo stare a guardare un mondo che potrebbe, nuovamente, cambiare senza di noi.

Sara Baroni, giornalista digital-femminista