La normalità come concetto relativo

In un’area dell’Africa, per la precisione quella compresa tra il sud-ovest della Repubblica Centrafricana e il Congo settentrionale, vive il popolo pigmeo degli Aka, una popolazione di cacciatori-raccoglitori nomade. Nella loro realtà, la suddivisione del carico famigliare è una chiara inversione di quella che dall’epoca preistorica a oggi è considerata normalità: le donne lasciano il villaggio e la famiglia per andare a caccia, mentre i bambini sono accuditi dai papà. Secondo una recente ricerca dell’antropologo statunitense Barry Hewlett, gli uomini Aka passano con i loro figli il 47% del loro tempo, una misura molto maggiore di qualunque altro gruppo culturale.

Un capovolgimento dei ruoli? In realtà, non proprio. Ed è questo l’aspetto veramente interessante.

Le regole sociali che guidano le loro dinamiche intra ed extra famigliari, infatti, si reggono su una completa e dinamica interscambiabilità dei ruoli. Detto in modo più semplice: chi è disponibile in quel preciso momento, fa. Per quanto sia una realtà ristretta da un punto di vista numerico e geografico, è un esempio efficace ed efficiente di parità dei generi.

Facciamo un salto dalla realtà locale degli Aka a un evento di portata globale, il Group Women 20 Summit che si è tenuto a Roma nel luglio 2021 con la partecipazione di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea. Il suo discorso introduttivo ha toccato due aspetti che oggi – due anni dopo – sono più che mai attuali.

“Nel prossimo summit del G20 a Roma, io potrei essere l’unica donna e non potrebbe esserci indicatore migliore per capire quanta strada c’è da fare per l’uguaglianza di genere. […] Come madre di sette figli e presidente della Commissione europea scommetto che faremo la differenza.”

Donne, lavoro e società. Si sente spesso usare il termine scelta in relazione all’abbandono del lavoro da parte delle donne, della suddivisione del carico famigliare, dell’utilizzo del part-time additato come una delle ragioni primarie del pay gap. Ma qual è la situazione attuale?

 

Ma oggi, dove siamo?

La disponibilità di dati sul tema richiederebbe uno spazio dedicato alla loro sola analisi; cercando di dare una breve ma efficace presentazione, ci focalizziamo qui sullo spaccato puntuale del contesto italiano rappresentato dal Gender Equality Index.

Questo indicatore, elaborato annualmente dall’Istituto Europeo per la parità di genere (EIGE), attribuisce un valore del 65% all’attuale livello di parità in Italia. Come riferimento, il punteggio medio europeo è superiore, seppure di poco (68,6%) ed è guidato dalle performanti Svezia (83,9%), Danimarca (77,8%), Olanda (77,3%) e Finlandia (75,4%).  Finora nessuna inaspettata sorpresa, potremmo dire. Anche se meglio dell’Italia si posizionano Francia, Spagna, Germania, Irlanda, Malta e Slovenia. Insomma, ci troviamo verso metà classifica, con alcune dimensioni positive e altre con potenziale di miglioramento, come appunto l’ambito lavorativo.

 

In termini di occupazione, complessivamente il dato italiano è al di sotto della media europea, una differenza ancora più rilevante se si esamina il solo indice femminile che si attesa al 31% mentre raggiunge il 51% per gli uomini in Italia e il 41% per le donne professionalmente attive in Europa.

Importante considerare anche l’impatto in tal senso degli ultimi anni caratterizzati dalla Pandemia Covid-19: da un lato, sono stati l’occasione per introdurre in modo massiccio strumenti teoricamente funzionali al bilanciamento tra lavoro e vita privata (leggasi, smart working) ma allo stesso tempo si è assistito a un loro utilizzo spesso sbilanciato verso la cura domestica. Infatti, sempre il Gender Equality Index riporta che il coinvolgimento femminile in attività di cura è il doppio o più rispetto a quello maschile in tutte le dimensioni – cura dei figli, cura dei famigliari non auto sufficienti, cura della casa – ed è notevolmente aumentato durante il periodo pandemico.

Seppure di alto livello, questa overview di dati è utile per avere un senso realistico e quantitativamente fondato di dove siamo. E di cosa c’è da fare.

 

Una questione cross-genere

Nell’articolo precedente abbiamo introdotto il concetto della Leadership delle piccole cose, che vogliamo ora arricchire chiarendo che – per un reale e duraturo cambiamento – è necessario ci sia un impegno comune, che va oltre la pura questione di genere. Riprendendo il sopracitato discorso di Ursula von der Layen:

“La pandemia non ha creato le diseguaglianze di genere, sociali, territoriali e generazionali, ma le ha amplificate. Le donne non sono una minoranza semplicemente da includere sono persone capaci di portare, attraverso la loro esperienza, quella energia necessaria per attivare il sistema”

Per essere tale, la parità dovrebbe essere realizzata a livello di individui, superando le etichette di genere (i famosi lavori “da uomini”), di geografia (altrettanto famigerata questione Nord/Sud Italia) e di studi (quanti sono ancora oggi i bias sulle materie STEM?)

Un preambolo lungo, in cui siamo partiti da una realtà modello – quella degli Aka – e abbiamo portato sul tavolo della discussione alcuni dati oggettivi per inquadrare lo stato attuale della parità di genere. Il tutto per arrivare ad avere una base comune su cui inserire una proposta di sguardo al futuro, da costruire in modo che la gestione delle incombenze famigliari, lavorative e sociali non sia etichettata come una pura questione di genere, ma di disponibilità e ruolo.

È uno sforzo di prospettiva, un modo di guardare alle quote rosa come un mezzo e non un fine ultimo, una leva per incentivare la presenza femminile e in parallelo la realizzazione di condizioni che la sostengano.

Come tutti i concetti valoriali, anche quello di parità sembra spesso altisonante o poco legato alla realtà. In un TEDWomen sul tema è stato rappresentato con un esempio tanto semplice quanto efficace: immaginate una pagina vuota con una linea orizzontale che la divide a metà. Ora immaginate che le donne siano al di sopra della linea e gli uomini al di sotto. Introducendo in modo consapevole gli uomini verso la parte superiore della pagina, si arriverà a un momento in cui uomini e donne saranno accanto, nella stessa porzione di foglio.

 

Ecco, questa è la rappresentazione visiva della parità uomo-donna, non un’estensione dello spazio occupato a discapito dell’altro, ma una condivisione fianco a fianco delle stesse opportunità. L’obiettivo? Garantire uguali possibilità a tutti gli individui, lasciando che il successivo posizionamento sia guidato dall’interesse del singolo e dal merito.

È sicuramente una questione di valori umani e sociali, ma non solo. Infatti, numerosi studi confermano l’impatto positivo sull’economia di un maggiore equilibrio, che in questo momento storico significa una maggiore partecipazione femminile negli ambienti professionali. Sempre secondo i dati dell’EIGE, un coinvolgimento più incisivo delle donne in ambito STEM porterebbe entro il 2050 a un aumento dell’occupazione del 2,1 – 3,5% e a una creazione di 10,5 milioni di posizioni di lavoro, occupati per l’80% dalla componente femminile.

“Ciò che ci accomuna è molto più forte di ciò che ci divide. Proviamo tutti le stesse cose. Vogliamo tutti le stesse cose, anche quando a volte quelle cose restano inespresse. Significa evolverci tutti, avviarci verso un punto di svolta”

Ecco in breve dove siamo oggi e quale potrebbe essere la traiettoria da percorrere.

Il prossimo passo sarà rispondere alla domanda: come farlo?

 

Serena Marmo, Tech & Digital Expert