Alessandra Carminati, in questo nuovo appuntamento della sua rubrica Recensioni in Rosa, ha scelto di recensire per noi “Ninfee Nere” di Michel Bussi, scrittore francese tra i più amati e venduti.
Un romanzo geniale capace di tenere incollata l’attenzione di chi legge fino all’ultima pagina, al colpo di scena talmente inaspettato da lasciare a bocca aperta.
Michel Bussi, oltre a essere stato professore di geografia all’Università di Rouen e direttore del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique), è conosciuto soprattutto per essere uno degli autori francesi tra i più amati e venduti d’oltralpe (e non solo).
Il suo esordio nella narrativa risale al 2006 e, da allora, ha pubblicato numerosi romanzi appartenenti al genere giallo/poliziesco.
Le sue opere si caratterizzano per trame estremamente originali e per una scrittura capace di sorprendere con colpi di scena inaspettati.
“Ninfee Nere” non fa eccezione. Pubblicato in Italia nel 2016 da E/O Edizioni rimane a oggi uno dei libri più amati (e premiati) dell’autore e, sicuramente, una delle opere la cui trama e la cui risoluzione finale lasciano a dir poco a bocca aperta il lettore.
Tre donne
“Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista. Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny. La prima abitava in un grande mulino in riva a un ruscello, sul chemin du Roy; la seconda in una mansarda sopra la scuola, in rue Blanche-Hoschedé-Monet; la terza con la madre in una casetta di rue du Château-d’Eau dai muri scrostati. Neanche avevano la stessa età. Proprio per niente.“
Bussi inizia così il suo libro, con un incipit che fin da subito cattura l’attenzione. Siamo immediatamente trasportati a Giverny, in Normandia, piccolo villaggio famoso per essere stato il luogo in cui ha vissuto e dipinto Claude Monet.
Un posto dove il tempo sembra essersi fermato e dove ogni angolo vorrebbe farsi un punto d’onore nel riportare alla mente il grande pittore impressionista.
In effetti, Monet e la sua ossessione per le ninfee ritornano spesso nel libro, sia attraverso aneddoti che raccontano la relazione del celebre pittore con il villaggio stesso, sia tramite alcune riflessioni sulla sua influenza sulla vita presente di Giverny, divenuta meta di appassionati d’arte e di pittori che tentano di ritrovare l’ispirazione di Monet dipingendo proprio nei luoghi a lui cari.
Ma Giverny è più uno sfondo, una tela su cui si mescolano e si intrecciano fra loro diversi colori o, meglio, diverse storie e sono soprattutto le tre donne che compaiono fin dall’inizio a dare ritmo e motore all’azione.
Tre donne che non potrebbero essere una più diversa dall’altra: una vecchia acida (di cui non conosciamo neppure il nome) che vive isolata nella torre del mulino con il suo cane Neptune, la bellissima Stéphanie Dupain (trentaseienne maestra del villaggio) e la giovanissima Fanette Morelle, un’undicenne talentuosa per la quale tutti i compagni di scuola hanno una cotta.
Cosa le lega tra loro e, soprattutto, cosa le lega all’omicidio di Jérôme Morval, oftalmologo con fama da Casanova, ritrovato ucciso proprio nel ruscello voluto da Monet per creare il suo laghetto delle ninfee nei pressi del Mulino delle Chennevières?
Il delitto di sognare
Fin dall’inizio l’omicidio si mostra complesso. Nella tasca dell’oftalmologo viene ritrovata una cartolina d’auguri indirizzata a un’undicenne su cui è stata riportata parte di una poesia di Aragon: “Acconsento a che si instauri il delitto di sognare”.
Cosa significa, e a chi doveva essere consegnata?
Morval non ha figli e la cartolina sembra essere più vecchia di quello che sembra.
Le indagini vengono affidate a Laurenç Sérénac, un vero e proprio outsider che fatica a comprendere i suoi stessi collaboratori (non solo è nuovo al dipartimento di polizia ma è pure occitano).
Aiutato dal collega Sylvio Bénavides, Laurenç porterà avanti la sua ricerca del colpevole tra intuizioni e decisioni strambe, tentando con una certa difficoltà di rimettere insieme i pezzi del puzzle.
Eppure, più sembra essere giunto a una conclusione, più la soluzione del caso si allontana.
C’entrano qualcosa le “Ninfee Nere” di Monet?
Possibile che l’omicidio di Morval ricalchi alla perfezione una tragedia avvenuta più di vent’anni prima che aveva visto la morte di un bambino?
Sono tante le cose che l’ispettore Laurenç Sérénac non conosce e che invece sembra conoscere la vecchia “strega” del mulino.
Storie che si intrecciano e si sovrappongono
La narrazione ci conduce attraverso diverse storie, rette parallele che sembrano continuare affiancate all’infinito, destinate a non incontrarsi mai.
Abbiamo la piccola Fanette, con gli amici Camille, Victor, Paul e Mary che la seguono ovunque, impegnata a dipingere un quadro per poter partecipare a un concorso per giovani talenti.
Fanette sogna di lasciare Giverny, di non seguire le orme di sua madre ma i suoi sogni e per questo ascolta affascinata le lezioni di James, un pittore americano senzatetto, uno dei tanti che non hanno resistito al richiamo di Giverny e dell’arte di Monet.
La sua storia sembra non avere nulla a che fare con l’omicidio di Morval, almeno fino a quando Fanette ritrova nei campi il cadavere del suo amico pittore, cadavere che poi scompare.
Si è sognata tutto? Il pittore è mai esistito? Vale la pena parlarne con la polizia?
Abbiamo poi la giovane maestra Stéphanie, amante dell’arte e dell’avventura, incastrata in un matrimonio che non la rende felice. Certo, il marito sembra adorarla, ma anche lei vorrebbe scappare da Giverny.
Inutile dire che si innamorerà del giovane ispettore Laurenç, con la speranza di poter fuggire con lui a bordo della sua motocicletta.
Ma Stéphanie era anche oggetto delle attenzioni della vittima, Morval. Non ne era diventata l’amante ma… può essere implicata nell’omicidio?
O aver scatenato la gelosia del marito?
Chi conosce tutte le risposte è la vecchia che vive nel mulino, talmente insignificante da passare inosservata e, forse proprio per questa sua invisibilità, capace di assistere all’azione da una posizione privilegiata.
La sua unica compagnia è il cane Neptune, che neppure la gente del villaggio associa a lei, dal tanto che sembrano non accorgersi della sua presenza.
Fin dall’inizio il lettore sa che questa donna ha in mano la soluzione del caso, lei stessa ce lo comunica e sappiamo anche che l’azione si snoderà nell’arco di tredici giorni.
La donna sembra conoscere benissimo anche Fanette e Stéphanie e, in generale, tutto quello che accade a Giverny.
Le sue riflessioni in prima persona, spesso acide e sovente critiche, ci mostrano un personaggio che non ha più niente da perdere e che si diverte a osservare lo svolgersi delle indagini quasi si stesse godendo una rappresentazione teatrale.
Uno stile accattivante e un finale a sorpresa
Ho trovato magistrale lo stile di Bussi e, soprattutto, la sua capacità di muoversi attraverso diversi piani narrativi, spostando di volta in volta il centro dell’azione da un personaggio all’altro e intrecciando, in alcuni momenti, passato e presente.
A volte i dettagli sembrano sfuggirci di mano, non capiamo come i fatti si colleghino tra loro (anzi, spesso si dubita che siano collegati) eppure, come l’anziana donna del mulino ci ricorda:
“… in tutta questa serie di eventi non esiste la minima coincidenza. Niente è lasciato al caso in quest’affare, al contrario. Ogni elemento è al posto giusto nel momento giusto.”
Ed è una promessa la sua (e quella dell’autore) che viene mantenuta.
Il colpo di scena finale è inaspettato, così incredibile da lasciare a bocca aperta, eppure ricollega perfettamente ogni azione, ogni momento, ogni personaggio, ogni dettaglio (anche il più piccolo) chiudendo di fatto il cerchio su più di un mistero che si celava a Giverny.
Una trama davvero geniale, originalissima, dove si riflette sul delitto (anche quello di uccidere i sogni), forse anche sulle seconde opportunità da non lasciarsi sfuggire e, soprattutto, dove i personaggi, con i loro pregi e difetti, i loro sogni e le loro debolezze, sono capaci di farci entrare nella loro umanità più profonda.
Un libro bellissimo che consiglio di leggere… per rimanerne davvero stupiti.
Alessandra Carminati