Ritorna la rubrica Recensioni in Rosa, a cura di Alessandra Carminati, che questa volta ci propone un libro diverso dal solito, una favola moderna in cui l’attenzione si concentra non solo sui personaggi ma, soprattutto, su un messaggio profondo di accettazione e inclusione. Una lettura che invita a riflettere su temi delicati.
“La casa sul mare celeste”, romanzo di TJ Klune pubblicato per la prima volta in Italia nel 2021 da Mondadori, come volume d’apertura della collana Oscar Fabula, è un piccolo gioiello che ha raccolto pressoché ovunque critiche a dir poco entusiastiche.
Lo scrittore Terry Brooks lo ritiene in grado di rinnovare la nostra fiducia nel genere umano, mentre il Washington Post pone addirittura l’accento sulla possibilità, quasi certa, che la lettura di questo libro possa riempire il cuore.
Il titolo, la grafica accattivante della copertina, le recensioni appassionate mi hanno incuriosita fin da subito e devo dire che, al termine della lettura, le aspettative, elevatissime, sono state ampiamente rispettate.
Una storia che si preannuncia subito “magica”
All’inizio del romanzo facciamo subito la conoscenza di Linus Baker, un timido e un po’ impacciato assistente sociale, impiegato da ormai diciassette anni presso il Dipartimento della Magia Minorile (DIMAM).
Il suo compito è quello di assicurarsi che i minori dotati di poteri magici, o di particolari caratteristiche “speciali”, siano accuditi in modo adeguato e si trovino bene negli appositi orfanotrofi (o istituti che dir si voglia) in cui vengono collocati per ordine del DIMAM stesso.
È chiaro, fin dalle prime pagine, che la realtà in cui vive Linus include anche la magia e che gli individui “magici” vengono separati dagli altri fin da bambini, per essere cresciuti in luoghi dove possano essere in qualche modo controllati. Una sorta di controllo e relativa “schedatura” pare li caratterizzerà poi anche nella loro vita adulta, una volta lasciati gli istituti.
Sebbene Linus sembri prendere seriamente il suo ruolo e si interessi per quanto possibile in modo genuino ai bambini, non possiamo non notare come il suo compito sia di fatto piuttosto limitato e come lo riporti puntualmente a un contesto lavorativo anonimo, circondato da colleghi con cui non parla e monitorato da arcigni superiori pronti a dargli note di demerito al primo passo falso.
Il povero Linus fa del suo meglio per districarsi tra i mille regolamenti comportamentali di un manuale immenso, considerato quasi un testo sacro, mentre intorno a lui messaggi lanciati alla stregua di slogan pubblicitari invitano a denunciare (evidentemente chi è “magico”) per essere bravi cittadini, per essere felici.
Insomma, il clima generale è quello di una realtà distopica, basata in modo più o meno evidente su una sorta di “dittatura del pensiero”.
Neppure sul fronte personale Linus può dirsi soddisfatto; la sua vita privata è nulla (e molto deprimente): vive solo con la sua gatta Calliope (dal caratterino piuttosto esigente) e si ritrova per vicina un’anziana donna pettegola e poco cordiale.
Tutto questo, ovviamente, è destinato a cambiare drasticamente.
Linus viene convocato dalla Suprema Dirigenza del DIMAM e, in una scena dal vago sapore fantozziano (il povero impiegato al cospetto non con uno, ma bensì con quattro mega dirigenti) gli viene affidato un incarico di alta segretezza.
Il nostro eroe, o presunto tale, dovrà recarsi sulla remota isola di Marsyas, restarvi per un mese e stabilire se l’orfanotrofio diretto dal misterioso Arthur Parnassus abbia o meno i requisiti per restare aperto.
La magia ha inizio.
Un incarico molto diverso dal solito
L’arrivo sull’isola è per Linus a dir poco emozionante: non ha mai visto il mare prima, se non sulla foto scolorita del tappetino del suo mouse, dove oltre a una spiaggia bianca e ad acque azzurre appariva anche l’invitante scritta: “Non vorresti essere qui?”.
A Linus sembra impossibile trovarsi in un luogo così simile a quello da sogno della foto: cielo azzurro, mare sconfinato, aria pulita e salmastra…
Tutto così diverso dal grigiore della città e del suo appartamento.
Sa ancora poco del suo incarico, la Suprema Dirigenza gli ha messo sì a disposizione una serie di fascicoli segretissimi per prepararlo alla missione (fascicoli che forniscono informazioni sui sei piccoli ospiti dell’orfanotrofio e sul direttore dello stesso), ma Linus arriva a destinazione impreparato, non essendo riuscito a leggerli durante il viaggio come si era prefissato.
Scoprirà quindi i dettagli della situazione in cui si è cacciato grazie a una serie di brevi incontri, più o meno “scioccanti” con i piccoli ospiti dell’orfanotrofio.
Inutile dire che i bambini dell’isola di Marsyas sono molto diversi da qualsiasi altro bambino magico con cui Linus abbia mai avuto a che fare, sono ben più potenti e più “stravaganti” di quanto potesse immaginare: sono a dir poco unici.
Eppure, al di là dei loro poteri (talvolta spaventosi o almeno potenzialmente tali), sono e restano prima di tutto bambini, il cui desiderio più grande è quello di essere amati e accettati, di sentirsi al sicuro.
Proprio per il loro ruolo cruciale i bambini sono descritti in modo attento, estrema importanza viene data ai dettagli, alle caratteristiche individuali: ognuno di loro si distingue in modo preciso dagli altri, ognuno ha la sua storia personale, i suoi sogni, le sue paure.
Impossibile non affezionarsi a loro, non provare empatia, non commuoversi di fronte ai loro gesti, a volte teneri e a volte goffi, e al pensiero di quello che hanno dovuto affrontare prima di trovare il loro “porto sicuro” a Marsyas.
Una bolla che si rompe
Se gli inizi lo lasciano “perplesso” (e anche un tantino a disagio), pian piano Linus comincia a sentirsi sempre più a suo agio, sia con i bambini che con il direttore dell’orfanotrofio, quel misterioso Arthur Parnassus per cui inizia a provare non solo ammirazione ma un sentimento ben più forte, seppur mantenendo con lui un rapporto di totale professionalità.
Linus è combattuto, da una parte c’è il DIMAM che gli richiede resoconti settimanali assolutamente imparziali e pretende che non instauri legami con i bambini, dall’altra comincia a emergere il suo vero carattere: Linus è molto più di un impiegato servizievole con qualche chilo di troppo e una calvizie incipiente, in lui si cela un animo sensibile che neppure il grigiore della sua vita quotidiana e i regolamenti chilometrici sono riusciti a distruggere del tutto.
Al DIMAM non interessa davvero il bene dei bambini, interessa il controllo. I piccoli sono visti non per quello che sono ma per la minaccia che potrebbero rappresentare.
Persino al villaggio dell’isola in molti li vorrebbero cacciare e sarà proprio quando gli animi inizieranno a scaldarsi che Linus mostrerà la sua forza e il suo coraggio.
Ormai non riesce più ad accettare la bolla in cui viveva o, per meglio dire, sopravviveva.
Senza fornire troppi particolari, rovinerei la lettura e tanti sono i colpi di scena che si susseguono e tengono incollati alle pagine, posso solo svelare che al termine del suo mese di soggiorno Linus rientrerà sì al DIMAM e affronterà nuovamente (in modo stavolta ben diverso) la Suprema Dirigenza, riuscendo a combattere per quello in cui crede e a far sì che l’orfanotrofio resti aperto.
La vita che conduceva ora gli va irrimediabilmente stretta, non gli resterà quindi che tornare a Marsyas, dove è ormai il suo posto, ammettendo finalmente anche i suoi sentimenti, compresi quelli d’amore che prova nei confronti di Arthur, da cui è peraltro ricambiato.
Il libro si conclude su una nota di speranza e fiducia, risolvendo tutti i punti ancora in sospeso con grazia ed estrema delicatezza.
Un fermo immagine di pura felicità.
Lo stile di Klune e i temi trattati
Non conoscevo TJ Klune prima di leggere questo libro e devo dire che sono rimasta molto colpita dal suo stile estremamente attento ai dettagli, alla caratterizzazione dei personaggi. La sua scrittura è scorrevole, priva di inutili fronzoli, capace di arrivare dritta al punto (e al cuore dei lettori) con una semplicità disarmante.
Non soltanto tutti i personaggi (persino i secondari) sono descritti superbamente e caratterizzati inequivocabilmente (nei gesti, nelle parole, nelle manie), ma anche i luoghi vengono tratteggiati in maniera suggestiva, ponendo l’accento su una netta contrapposizione tra quelli più colorati e “vivi” (la casa sul mare, il bosco, l’isola…) a quelli più grigi e spenti (l’ufficio di Linus, il DIMAM…).
Strepitosi anche i dialoghi, che passano dal comico (alcuni bambini hanno un senso dell’ironia piuttosto marcato e, diciamo, “insolito” quando si prendono gioco del povero Linus) al serio, toccando una gamma infinita di sfumature con una naturalezza encomiabile.
Per mezzo di una sorta di favola (gli elementi magici non mancano), TJ Klune tratta temi serissimi e complessi: la diversità, la paura di ciò che non conosciamo, il bisogno di avere certezze e di inquadrare e categorizzare ciò che ci è estraneo. Lo fa con uno stile a volte ironico e a volte commovente, persino delicato nella sua dolcezza, e forse proprio per questo riesce magistralmente nel suo intento. Quando Sal, uno dei bambini, recita una poesia da lui scritta, le parole sono potenti, vibranti nella loro forza, attraverso di esse TJ Klune ci regala un piccolo capolavoro che, per la sua profondità, non può che far riflettere.
“La casa sul mare celeste” è senz’ombra di dubbio un romanzo che si presta a diversi livelli di lettura. Se da un lato è una favola moderna dal sapore fantastico, dall’altro è innegabile che TJ Klune, grazie ai suoi personaggi magici e alla loro storia, riesca a far passare un messaggio profondo di accettazione e inclusione, spinga alla riflessione mostrando che spesso si ha paura, il più delle volte poi inutilmente, di ciò che non si conosce.
Solo quando gli abitanti dell’isola di Marsyas si decideranno a non tenere più a distanza i bambini dell’orfanotrofio ma a conoscerli e a interagire con loro, a vedere ciò che li accomuna più che ciò che li separa, le cose cambieranno davvero, ovviamente in meglio.
Una bella morale, un messaggio importante, si chiude il libro con un sorriso sul volto e, cosa non da poco, come ha sottolineato Terry Brooks, si recupera davvero una certa fiducia nell’umanità.
Alessandra Carminati
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